Salute

Gli uomini che vissero due volte

Antonio, Serenella, Franco hanno sfiorato la morte. Raccontano di aver visto luci, angeli, familiari. E, dopo quei momenti, hanno rivoluzionato la loro esistenza

Si ferma il cuore, per uno, due, cinque lunghissimi minuti. La pressione scende a zero, il sangue non circola più, il cervello resta senza ossigeno e nutrimento. Subentra il coma.
È l’anticamera della fine (tecnicamente si chiama, infatti, premorte), innescata da un infarto, o da altre malattie gravi, o da traumi, incidenti.
Chi ha affrontato queste vicende così drammatiche ed è riuscito, in extremis, a riacciuffare la vita racconta di avere provato sensazioni ben precise, e parla di immagini, visioni, incontri avvenuti in quei minuti, o secondi, in cui il suo corpo era virtualmente morto.
Sono testimonianze che spesso si assomigliano, anche se arrivano da persone lontane migliaia di chilometri l’una dall’altra, e suscitano, da sempre, un grande interesse. Perché esiste un filo conduttore ben preciso in queste esperienze vicine alla morte, in sigla Nde (near death experience).
E viene la tentazione di pensare che possano dare un’ idea molto realistica di che cosa avvenga davvero quando una persona è chiamata ad affrontare gli ultimi istanti della vita.
«Sono migliaia i casi di Nde registrati ai quattro capi del mondo», dice Fulvia Cariglia, psicologa fiorentina che ha appena pubblicato un libro sull’argomento, La luce e la rinascita (Mondadori). «Sulla base di un questionario messo a punto dall’americano Bruce Greyson (uno dei fondatori dell’International association for near-death studies), sono stati raccolti i racconti di un grande numero di sopravvissuti, seguendo parametri il più possibile simili e scientifici. È emerso che quasi tutte le Nde attraversano una quindicina di fasi, ben delineabili».

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Gruppo San Donato

Ecco le fasi principali di premorte:
• mancanza di interesse incontri per il proprio corpo;
• sensazione di leggerezza e partecipazione all’esistenza degli altri intorno (medici e familiari);
• nuova dimensione fisica (sensazione di potersi muovere, pur essendo, nella realtà, immobili);
• visione di un tunnel e desiderio di percorrerlo;
• visione di una luce bianca, alla fine, che costituisce un richiamo irresistibile;
• incontri (non sempre) con altre «figure» all’interno di questa luce;
• rassegna velocissima della propria vita (la cosiddetta life review), spesso con una forte espressione di dolore;
• incontri con figure celestiali , nel 95% dei casi, nel restante 5%, con esseri orrendi (a volte, questi due elementi sono mescolati insieme).

Racconta, per esempio, Antonio Massena, 56 anni, direttore teatrale all’Aquila: «In lontananza mi è apparso un piccolo punto luminoso, che si è allargato sempre più. La luce si faceva più forte… Luce, tanta luce, bianca più della neve, luminosissima, una luce avvolgente, che mi accoglieva. Era bello, rilassante, invitava ad abbandonarsi a questo stato di grande benessere, a lasciarsene cullare».
A volte i sopravvissuti riferiscono frasi che davvero erano state pronunciate in sala operatoria, mentre loro si trovavano in coma, o gesti che qualcuno aveva compiuto a poca distanza.
«Stranissimo! Mentre il mio cuore si era fermato, io potevo, girandomi, guardarmi disteso con la flebo attaccata al braccio e sostenuto da cuscini dietro la schiena», ricorda Franco Romani, 72 anni, ex autista del Comune di Biella e adesso, dopo la Nde, scultore di alberi: «In piedi, quasi sollevato da terra, mi sono allora rivolto al dottore che mi stava a fianco: “Che cosa mi state facendo? Io sto benissimo, non ho alcun dolore”. Ma mi accorgevo che non c’era alcun contatto fra noi. Poi, di colpo, non ero più nella mia camera, ma mi trovavo in un prato verde. Che sensazione meravigliosa! Senza dolore, con una grande pace dentro di me».

In pochi attimi scorre il film della vita
Un momento cruciale è quello della life review, il rivedere a ritmi acceleratissimi la propria esistenza: «Durante questa fase, spesso avviene un’ importante trasformazione dell’ individuo che si ripercuote, poi, sul risveglio», spiega Cariglia. «Praticamente tutti i sopravvissuti cambiano vita, lavoro, affetti».

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Così Massena racconta la review: «Davanti ai miei occhi scorrevano i volti delle persone a me più care: mia madre e mio padre, che si mostravano tristi e preoccupati, mia sorella Cristina, Giada… Con loro c’erano persone che non incontravo più da tanto tempo e che credevo di avere dimenticato. Tutto diventava chiaro e lucido, tutto si dipanava, seppur in un batter d’occhio, nella cruda interezza degli eventi: i momenti più oscuri della mia esistenza, quelli meno felici, quelli che avevo rimosso o dimenticato. Era l’esame della mia vita che scivolava via in una dimensione temporale talmente fulminea che sembrava infinita ».
In ultimo, subentra la fase del ritorno: un momento terribile, pieno di dolori violentissimi (non dimentichiamo che queste persone si trovano quasi sempre in un reparto di rianimazione) e un desiderio di non rientrare nella vita terrena. «Soffocavo, mi mancava l’aria, al punto che strinsi gli occhi così forte da farmi male», ricorda Romani. «Stavo “tornando”. Una voce, proveniente da lontano ma ben distinguibile, diceva: “Sta lacrimando, si sta svegliando”».
Che valore si può dare a tutto questo? I sopravvissuti hanno davvero provato qualcosa di simile a quello che avviene nel momento della morte? «Io credo ai racconti di queste persone», dice Dario Caldiroli, responsabile dell’Unità operativa di neuroanestesia e neurorianimazione dell’ Istituto Besta di Milano. «Sono convinto, cioè, che riferiscano emozioni e visioni che hanno davvero avuto. Ma certo non hanno vissuto, nella realtà, gli eventi che ricordano. Insomma, sono credibili, ma non attendibili».
Ma com’è possibile che un organismo disattivato, spento, produca sensazioni così nitide? «Quando il cuore si ferma e il paziente scivola nel coma, il cervello continua a funzionare per alcuni minuti (dipende dall’età del paziente e dalla condizione dei vasi cerebrali), sfruttando quel minimo di ossigeno presente nelle arterie», spiega Caldiroli.

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«E infatti l’elettroencefalogramma registra un’attività elettrica relativamente regolare per qualche tempo. In questi momenti è possibile che la persona continui a udire suoni, e anche a vedere, e memorizzi il tutto, pur senza riuscire a muoversi e a esprimersi. Qualcosa di simile succede ai pazienti che si risvegliano, per un errore degli anestesisti, durante un’operazione chirurgica (succede molto raramente, ma in qualche caso capita). Il cervello sente, vede e ricorda, anche se i muscoli sono paralizzati dai farmaci e lo sfortunato protagonista non può farlo sapere».

Si aprono le porte dell’inconscio profondo
Ma c’è di più. «È possibile che, nelle persone in arresto cardiaco, l’alterazione dello stato di coscienza indotta dall’estrema carenza di ossigeno apra le porte alla memoria implicita (dove si trovano i ricordi “dimenticati”), che è probabilmente una delle sedi dell’inconscio», continua il neuroanestesista. «Da qui, la cosiddetta life review. Anche in questo caso, un fenomeno simile avviene nei pazienti che si risvegliano in sala operatoria».
E come si spiegano, invece, la luce bianca e gli incontri con le figure celestiali? «Questi episodi derivano, forse, da un’intrusione di fenomeni allucinatori visivi, tipici della fase rem del sonno (quella dei sogni), che vengono attivati da una sorta di meccanismo di emergenza del cervello», dice Raffaele Manni (puoi chiedergli un consulto), responsabile dell’Unità di medicina del sonno all’ Istituto neurologico Mondino di Pavia.
«In termine tecnico, si chiama dissociazione rem. Altri ricercatori sostengono, invece, che le esperienze Nde derivino dall’alterato funzionamento del lobo temporale, l’area del cervello legata a molte funzioni, tra cui quelle dell’elaborazione complessa delle percezioni visive e delle emozioni».
Tutto questo può avvenire, in ogni caso, solo fino a quando i neuroni non subiscono danni irreversibili.

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Se l’assenza del battito cardiaco si protrae per troppo tempo (non esiste un termine preciso: diciamo, oltre i due-cinque minuti), le cellule cerebrali muoiono e il paziente, al risveglio, perde qualche funzionalità (non muove una parte del corpo, non ricorda, non parla bene, e così via).
«Durante la fase di ipossia, cioè di carenza di ossigeno, le arterie cerebrali si dilatano, per utilizzare il poco sangue a disposizione», spiega Giuseppe Micieli, direttore del dipartimento di neurologia d’urgenza al Mondino di Pavia. «Se non riprende la circolazione, con l’arrivo di nuovo ossigeno, si passa alla fase ischemica. E in questo caso è difficile che non si verifichi qualche danno».
Qualunque cosa avvenga nel cervello, l’esistenza dei sopravvissuti (anche di coloro che non hanno conseguenze fisiche) cambia moltissimo, dopo la Nde. «Questi pazienti dicono di non avere più paura della morte e mostrano una maggiore disponibilità verso il mondo», dice Fulvia Cariglia. «Rinascono a una nuova vita, come gli sciamani o gli iniziati».
Conferma Serenella Ballore, 48 anni, sopravvissuta a un arresto cardiaco nel ’94: «Ero una manager del settore farmaceutico, ma ho deciso di abbandonare tutto, dedicandomi allo studio delle dimensioni oltre il conosciuto. Durante la mia Nde ho avuto incontri con figure angeliche che mi hanno indicato la strada: approfondire la consapevolezza del sé. Ho seguito il suggerimento e lho fatto diventare anche il mio lavoro (da alcuni anni ho una società di formazione olistica). Insomma, ho cercato di portare su questa terra la luce che avevo visto quando il mio cuore era fermo».
Paolo Rossi Castelli – OK La salute prima di tutto

Ultimo aggiornamento: 18 gennaio 2010

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