Il coma è una condizione di non coscienza diagnosticabile come tale in chi ha gli occhi chiusi, non esegue alcun comando e non dice nessuna parola comprensibile. Per misurare se sia più o meno profondo, a seconda delle reazioni a determinati stimoli, ci si avvale della scala di valutazione di Glasgow: il punteggio, da 3 a 15, sale a mano a mano che il malato recupera responsività. I centri specializzati dispongono anche di una tecnica diagnostica innovativa, la risonanza magnetica funzionale, per sondare l’attivazione cerebrale del paziente con disturbi di coscienza, in risposta a stimolazioni esterne.
• L’evoluzione. Dopo tre-quattro settimane, tutte le persone in coma riaprono gli occhi. Li aspetta un bivio: o si risvegliano oppure si avviano allo stato vegetativo, che è una condizione di incoscienza a occhi aperti.
• Il recupero. «Ci sono fattori e dati clinici che consentono di fare una prognosi», dice Rita Formisano (puoi chiederle un consulto), primario dell’unità post coma dell’ospedale di riabilitazione Santa Lucia a Roma. «Per esempio, hanno maggiori probabilità di recupero i giovani e chi conserva movimenti spontanei. Anche la causa del coma può incidere sulla prognosi, che è in genere più favorevole nei casi di trauma cranico mentre lo è meno in quelli di ipoossigenazione cerebrale dovuta ad arresto cardiocircolatorio».
La maggioranza dei pazienti potrebbe recuperare la coscienza entro un anno dall’evento acuto nei casi traumatici, e sei mesi in quelli da altre cause. Ci sono recuperi tardivi avvenuti oltre l’anno, ma il passare del tempo non gioca a favore del malato. È comunque un campo in cui la scienza medica non dispone ancora di certezze e ci sono molte più domande che risposte.
• Le tecniche più nuove. «Oggi esistono nuove tecniche terapeutiche che possono sollecitare il risveglio», spiega Formisano, «come la stimolazione magnetica transcranica, l’applicazione di stimolatori cerebrali profondi, o anche farmaci quali lo zolpidem o i dopaminergici. Senza dimenticare altri approcci da tempo in uso e spesso efficaci (al di là della difficoltà di dimostrazioni scientifiche), quali la riabilitazione in acqua o la musicoterapia».
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Ultimo aggiornamento: 14 novembre 2011