«Mai un mal di pancia in vita mia. D’un tratto ho cominciato a soffrirne, episodi violentissimi, una volta perfino le convulsioni», spiega Claudia Pandolfi. «Ero ridotta uno straccio. La soluzione è arrivata da mia suocera: “Perché non fai un esame per vedere se è colpa di un’allergia alimentare?”. Aveva ragione lei…».
La confessione dell’attrice a OK e, a seguire, l’approfondimento medico sull’intolleranza al lattosio.
«In vita mia non avevo mai avuto il mal di pancia. Compiuti i 30 sono arrivati a raffica, fulminanti, senza tregua. Stesa da nausea, crampi, gonfiore addominale.
All’inizio penso che i problemi di stomaco siano colpa dello stress. Continuo a non farci caso anche quando la situazione peggiora. Una sera mi ritrovo ko, immobilizzata da fitte all’addome che mi attanagliano per ore. Non riesco ad alzarmi dal letto. Poi passa e riprendo la vita normale.
Ma arriva la classica goccia che fa traboccare il vaso. Vado dal dentista. Prima di entrare per farmi togliere i denti del giudizio sto benissimo, quando esco sono uno straccio: convulsioni fortissime. Do la colpa all’anestesia, sarà stata troppo forte, penso.
Be’ , qualsiasi sia la causa, finisco dritta in pronto soccorso, dove mi somministrano dei calmanti gastroinibitori e mi fanno una gastroscopia d’ordinanza. “Tutto tranquillo, signorina”, mi dicono i medici. “Gli esami sono a posto. Sarà la tensione nervosa, si dia una calmata”.
Addio creme, addio gelati, addio formaggi
Già, così la pensa anche qualche amico. Alcuni mi consigliano di prendere delle benzodiazepine per rilassarmi un po’ . “Vedrai, ti fanno sentire un’altra persona”, assicurano. Ma io non ho alcuna intenzione di assumere tranquillanti per farmi passare il mal di pancia.
Sono testarda e ormai sono anche sicura che uno stato ansioso abbia poco a che fare con questi spasmi che mi stanno rendendo la vita impossibile.
E infatti, quasi per caso, trovo il bandolo della matassa. Forse avrei dovuto leggere OK e ci sarei arrivata prima. Parlo con Paola, la mamma del mio compagno, Roberto Angelini. “Potrebbe essere colpa di un’intolleranza al lattosio“, mi fa una sera.
Intolleranza? Oddio: che cos’è, che devo fare? “Il breath test, l’esame del respiro”, mi spiega il mio medico. “Per digerire il lattosio, lo zucchero del latte, serve la lattasi, un enzima prodotto dall’intestino che si ritrova anche nel respiro che emettiamo dopo aver ingerito latticini”.
Devo soffiare dentro una cannula collegata a una macchina in grado di misurare la quantità di lattasi presente nel mio alito. Il responso è chiarissimo: non ne ho più! Ecco spiegate le fitte, i crampi, la nausea, ogni volta che, ignara, ingerisco latticini, formaggi, creme, gelati e tutto quello che contiene anche una piccolissima percentuale di lattosio. Mi manca l’enzima per poterli digerire.
Inizia la disintossicazione. Non è una passeggiata: mangio spesso disordinato e al ristorante, dove una goccia di panna nel sugo al pomodoro per me è una minaccia. Basta besciamella, basta grana, basta mozzarelle di bufala, che adoro (una volta ne divorai cinque di fila, poi stetti malissimo, un’indigestione coi fiocchi).
Elimino anche la pillola anticoncezionale che ha tracce, seppure in minime quantità, dello zucchero del latte.
Guarita dopo due anni: viva il cappuccino!
I risultati sono immediati, il mal di pancia sparisce. Ma continuo a non sentirmi al top. Allora mi rivolgo a una specialista romana che mi cura con la bioterapia nutrizionale. Subito mi mette a regime. “Non basta eliminare il lattosio”, dice la dottoressa. “Bisogna intervenire su tutta la dieta e imparare ad alimentarsi bene, non solo per superare l’intolleranza”.
Carni bianche, pesce, spaghetti di riso al pomodoro, tantissima frutta, mele, pere e ananas. E verdura. Cucinati in modo sano, variando spesso e senza esagerare con le porzioni.
Dopo due anni e mezzo sono come nuova. Mangio in modo regolare e ho imparato che con il cibo è possibile curarsi e proteggersi. Tutta la famiglia, il mio compagno, mia sorella, anche il mio piccolo Gabriele mi seguono.
Le fitte allo stomaco sono un’ombra lontana. L’intolleranza? Un ricordo pure quella. E il cappuccino a colazione è tornato un piacere che ogni tanto mi concedo».
Claudia Pandolfi
(testo raccolto da Francesca Gambarini per OK La salute prima di tutto di aprile 2008)
LEGGI L’APPROFONDIMENTO MEDICO
SULL’INTOLLERANZA AL LATTOSIO
L’APPROFONDIMENTO MEDICO
L’INTOLLERANZA AL LATTOSIO
SI SCOPRE CON IL TEST DEL RESPIRO
L’intolleranza al latte e ai latticini, molto frequente, è legata alla diminuzione della capacità di digerire lo zucchero del latte, il lattosio. «La colpa è da addebitare alla mancanza o alla riduzione della produzione dell’enzima adatto alla digestione, la lattasi», spiega Donatella Macchia (puoi chiederle un consulto), responsabile del servizio per la diagnosi e il follow up di allergie e intolleranze alimentari all’ospedale San Giovanni di Dio di Firenze.
L’intolleranza può essere primaria: l’organismo non produce questo enzima per un difetto genetico, e allora i sintomi si manifestano fin dall’infanzia. Oppure può essere secondaria e transitoria: c’è in questi casi una riduzione progressiva della capacità di smaltire il lattosio e/o una diminuzione della produzione di lattasi, per esempio a seguito di infenzioni del tratto gastroenterico o a mutate abitudini alimentari. La capacità di digerire lo zucchero del latte è infatti anche proporzionale alla quantità che se ne assume.
Può capitare che alla base di un’intolleranza al lattosio ci sia la celiachia. Per questo è importante non fermarsi alla constatazione: non digerisco il latte, quindi lo elimino, ma è utile approfondire la ricerca delle cause del disturbo.
• Sintomi. Mal di pancia, nausea, diarrea, meteorismo diffuso, vomito, spossatezza generale. Compaiono nel momento in cui si ingeriscono cibi che contengono questo zucchero.
• Diagnosi. L’intolleranza è segnalata dal test del respiro o breath test: serve a dimostrare la riduzione della produzione di lattasi. Se necessario, fate altri accertamenti. Non affidatevi ai test di medicina alternativa per la diagnosi delle intolleranze: sono panzane.
• Terapia. Se c’è, si cura l’eventuale malattia di base. Se non c’è, è importante migliorare l’assetto digestivo con un’alimentazione sana ed equilibrata, tale da consentire nel tempo anche una reintroduzione lenta e graduale del latte o dei suoi derivati: così l’organismo potrà riabituarsi a produrre l’enzima che serve per digerirlo.