Il dramma di una giovane donna raccontato da un uomo, un giornalista e scrittore. Antonio Socci descrive le tappe della tragedia che ha colpito sua figlia Caterina che, nel settembre del 2009, finisce in coma per un attacco cardiaco. Dalla sera dell’incidente alle prime faticosissime parole. Ecco alcuni stralci del suo libroCaterina. Diario di un padre nella tempesta edito da Rizzoli.
«La mattina di quel 12 settembre ero baldanzoso come un bambino e non sapevo che Caterina, la mia Caterina, doveva morire quella sera stessa. Era scritto che alle 21,30 sarebbe finito il mondo. Per me. Per sempre. O sarebbe cominciato un nuovo mondo.
Nella sua agenda, al giorno 24 settembre, Caterina aveva scritto “LAUREA” a caratteri cubitali con disegni festosi attorno. Dopo anni di studio era il suo bel traguardo. Meritato. Che dono questi figli, tutti e tre. Che bravi e che belli. E che gioia: la nostra primogenita si laurea in Architettura… Piccola grande felicità umana.
Mi alzai dal tavolo sotto il ciliegio, entrai in casa e ridendo danzai attorno al tavolo di Alessandra, mia moglie: “Non c’è nessuno più felice al mondo!” Lei mi sorrise, ma dolcemente allarmata: “Non dirlo, per carità… Non si sa mai cosa ci riserva la vita”. Fu una frazione di secondo.
Dolce e luminoso, quel sabato arrivò al crepuscolo. Il telefono suonò alle 21.30. Io lasciai che rispondessero di sopra. Percepii strani rumori di agitazione, poi il grido di Alessandra. In una frazione di secondo rammentai con terrore l’altro momento in cui gridò così: dodici anni prima, il giorno in cui – incinta – si accorse che rischiava di perdere il bambino.
La sera del 12 settembre avremmo preferito che a squarciare il nostro cuore fosse un colpo di lancia in pieno petto. Da Firenze, stavano chiamando le amiche e coinquiline di Caterina: un improvviso arresto cardiaco.
Cosa? Caterina? Il cuore? Sì. Non batte più. È caduta in terra e da un’ora il suo cuore si è fermato e i medici, che le hanno tentate tutte per rianimarla, non sanno più che fare. Ormai stanno mollando…
Ci fecero capire che non c’era più niente da fare. Caterina non c’è più e il suo sorriso non lo rivedrò mai. Un tornado di pensieri ed emozioni mi travolse in un attimo. Ricordo solo di aver cacciato un urlo disperato e assordante: “Gesùmionooooooooo!!!”.
Arrivammo – non so come – alle porte di Firenze, su quel viale della Certosa a me tanto caro perché, tra due muri a secco, è pieno di mandorli i cui fiori da sempre annunciano la primavera. E lì accadde qualcosa. La telefonata di un’amica, una notizia, parole concitate, pianti e risa al tempo stesso: “Batte? Cosa? Veramente? Sì!!! Il cuore di Caterina ha ricominciato a battere!!! Dopo un’ora e mezzo!”.
Oh Dio mioooo! Tu sia lodato! Gesù dolce! Madre santissima: vi amo e vi ringrazio! Cari santi nostri, vi abbracciamo! Davvero el amor es màs fuerte que la muerte (l’amore è più forte della morte, ndr).
Non avevamo fatto in tempo a tirare il fiato, a commuoverci dell’immensa grazia che subito fummo sfiorati da un altro incubo: il cuore fermo per un’ora e mezzo significa un coma senza speranza o danni immensi, devastanti… Probabilmente irrecuperabili. In un secondo, davanti ai nostri occhi un flash terrificante: la sopravvivenza biologica, ma con Caterina che di fatto non c’è più.
A tutti sembra il peggio che possa capitare, l’incubo a cui nessuno vuol mai pensare, ciò che – ti dici – non può accadere proprio a te… Quello in cui eravamo precipitati d’improvviso era l’Orrore. Ed era del tutto imprevisto. Ma in quel momento, a dir la verità, non ci lasciammo sprofondare in questo cupo pensiero.
La cosa importante era che intanto il cuore di Caterina aveva ripreso a battere e che lei era viva. Ciò che contava ai nostri occhi era che presto uscisse dal rischio di morte in cui ancora si trovava. Al resto preferivamo non pensare perché a quel giorno bastava già quella pena. Desideravamo solo poterla rivedere e abbracciare viva.
La mattina di domenica 13 settembre fu terrificante. La più triste e angosciata della mia esistenza. Le due ore di sonno anestetizzarono solo provvisoriamente lo strazio. Nel dormiveglia per pochi istanti cercai rifugio nell’idea che fosse solo un brutto sogno (per tutti i mesi successivi il risveglio sarebbe stato così). Invece, dopo alcuni secondi, la crudele realtà ti lacera la carne viva come una sciabolata in faccia…
Ti alzi dal letto schiacciato da un macigno insopportabile sul cuore. Perché? Com’è stato possibile? Che significa? Tramortito, devastato dal dolore, ti senti piegare le gambe come se fossi sempre sul punto di svenire…
Ti sembra che niente di quello per cui quotidianamente ci affanniamo abbia più alcun valore: daresti via subito tutto, tutto quello che possiedi, compresa la salute e la vita, tutto quello che sei, che fai, perché non fosse mai accaduto. Sai che tua figlia vale più di qualunque cosa. Immensamente di più.
Ogni altra sorte ti appare invidiabile, perfino quella del malato, afflitto da gravi sofferenze, e quella di chi muore… Si è disposti a tutto, a dare tutto, a fare tutto, a perdere tutto, pur di far rivivere una giovane figlia in fiore.
Nel tardo pomeriggio del 24 settembre qualcosa è accaduto. E qualcosa di importante. Quando siamo entrati nella sua cameretta abbiamo cominciato a carezzarla e a parlarle dei suoi amici e di noi e di lei e il suo respiro si è fatto sempre più intenso, il cuore ha cominciato a galoppare, gli occhi non sembravano persi nel vuoto come qualche ora prima, lei appariva molto emozionata.
Le macchine stesse che monitorano il battito, la pressione sanguigna e il respiro hanno cominciato a suonare e ci siamo resi conto, con l’infermiere, che Caterina aveva riconosciuto le voci della mamma e del babbo e che capiva quello che le stavamo dicendo. Così – ricordando che il passo fondamentale per l’uscita dal coma si ha quando il malato esegue un gesto richiesto – abbiamo cominciato a chiederle di stringere la mano di sua mamma che le teneva la destra.
Abbiamo assistito a un enorme sforzo di concentrazione da parte di Caterina, che è diventata rossa in volto, e con un’ulteriore intensificazione del battito cardiaco e del respiro, facendo enorme fatica ha infine eseguito quello che le avevamo richiesto.
7 gennaio: si moltiplicano i segni di comprensione che Caterina ci dà. Ma nel pomeriggio è accaduta una cosa bellissima. Avevamo pregato ardentemente che Gesù ci desse un segno certo che Caterina capisce. Soprattutto alla messa della sera.
Uscendo dalla chiesa con questa commozione nel cuore, entro nella stanza di Caterina e mi trovo davanti a uno spettacolo sorprendente: Caterina a letto e Alessandra al suo fianco che stanno ridendo a crepapelle! E la risata di Caterina è proprio la sua, brillante, contagiosa. Il suo sguardo è luminoso! Presto al ridere – per l’emozione – si aggiungono le lacrime di loro due e le mie e quelle di tutti coloro che nel frattempo arrivano, sorpresi e commossi!
Cosa è successo? Da giorni provavamo a leggere qualche pagina a Caterina. Avevamo diversi libri. Era dunque accaduto che Alessandra quel pomeriggio stava leggendo a voce alta Il giovane Holden di Salinger e, arrivata a un punto in cui il romanzo ha un paio di battute, Caterina è scoppiata a ridere di colpo. Alessandra sul momento si è quasi spaventata, non se lo aspettava. Poi si è resa conto, ha cominciato anche lei a ridere e piangere di commozione, abbracciando Caterina che intanto, lei stessa, si è resa conto di riuscire a esprimersi in un modo che fino a quel momento le era impossibile.
Per verificare se si trattava di un’acquisizione nuova e definitiva, Alessandra è andata avanti nella lettura e in effetti a ogni passaggio umoristico Caterina si faceva grandi risate, mostrando, oltretutto, di cogliere benissimo anche allusioni e battute più raffinate. L’emozione di tutti noi è stata fortissima. A quel punto ci siamo scatenati a raccontare a Caterina le cose più buffe e lei ha riso con noi a lungo.
Solo oggi ci siamo resi conto che in effetti in questi giorni è accaduto qualcosa di importante e Caterina ha fatto un passo deciso. In qualche modo potremmo dire: è tornata.
Antonio Socci