Intervista a Giacomo Rizzolatti per OK La salute prima di tutto
Siamo umani perché riusciamo a immedesimarci nell’altro, a provare quello che prova, a sentire quello che sente. Siamo umani perché vedere qualcuno ridere ci mette di buonumore e assistere a una tragedia ci fa piangere. Siamo umani perché riusciamo ad afferrare subito il significato delle azioni compiute dai nostri simili.
Fino a pochi anni fa medici e filosofi hanno cercato invano di capire. È merito di un genio italiano se è stata trovata la chiave di questa capacità importantissima, alla base dell’altruismo, di ogni forma di civiltà e in qualche modo, dunque, dell’ evoluzione e della sopravvivenza dei Sapiens.
Giacomo Rizzolatti, direttore del dipartimento di neuroscienze dell’Università di Parma, è l’autore della scoperta dei neuroni specchio (guarda il suo intervento al convegno 21 Minuti). Aver individuato queste cellule, concentrate soprattutto nella parte sinistra del cervello, ha rivoluzionato non solo la neurofisiologia ma anche la psicologia, la pedagogia, la sociologia e l’antropologia. Ora gli scienziati di tutto il mondo lavorano su questa conquista e ogni mese aggiungono un tassello di conoscenza sui meccanismi che ci governano.
Professor Rizzolatti, lei è un fine divulgatore oltre che un grande scienziato. In parole semplici: che cosa sono i neuroni specchio?
«Una particolare classe di neuroni che si attiva sia quando una persona compie un’azione sia quando la vede fare. Permettono, in altre parole, di capire subito quel che fanno gli altri. Un meccanismo fondamentale non solo per apprendere attraverso l’imitazione (come fa una ballerina che impara un passo nuovo) ma anche per rendere partecipe l’osservatore delle emozioni altrui. È il meccanismo dell’empatia (dal greco en, dentro, e pathos, sentimento), che ci permette di commuoverci se vediamo uno spettacolo drammatico o di immedesimarci nelle azioni in campo della squadra del cuore.
Io amo citare una frase del regista e drammaturgo britannico Peter Brook: “Con la scoperta dei neuroni specchio le neuroscienze hanno cominciato a capire quello che il teatro sapeva da sempre”».
Insomma, si spiega anche perché seduti in una platea, a teatro o al cinema, ci commuoviamo davanti a una scena drammatica.
«Esatto: si tratta di un meccanismo specchio, come nella vita, anche se ovviamente l’esperienza è meno intensa. Sensazioni analoghe si possono provare leggendo un romanzo e immedesimandoci nelle azioni ed emozioni dei diversi personaggi».
E dinanzi ad altri spettacoli collettivi come una partita di calcio?
«Quando abbiamo studiato le scimmie, ci siamo accorti che c’erano dei neuroni, poi chiamati neuroni specchio, che si attivavano sia quando la scimmia prendeva un frutto sia quando rimaneva immobile e ad afferrare il frutto eravamo noi. Nell’uomo accade la stessa cosa.
Poco dopo la scoperta dei neuroni specchio abbiamo studiato come rispondeva il cervello umano all’osservazione di azioni compiute da altri. In collaborazione con il Centro di neuroimmagini dell’ospedale San Raffaele di Milano abbiamo visto che se un uomo osserva un’azione nel suo cervello si attivano le aree motorie. Secondo la teoria tradizionale, invece, avrebbero dovuto attivarsi solo quelle visive.
Ecco perché la partecipazione a una partita è intensa. Il tifoso esperto capisce dai singoli movimenti, non solo dal risultato del movimento, se il calciatore è bravo».
E il tifoso soffre dinanzi a un rigore e gioisce per un gol…
«Ecco, nel romanzo L’eleganza del riccio, la scrittrice Muriel Barbery suggerisce che il nostro piacere nel vedere i tuffi fatti dai professionisti sia dovuto all’attivazione dei neuroni specchio. È come se fossimo noi stessi a fare gli esercizi e ne ricaviamo piacere corporeo. Penso abbia ragione».
Vale anche per il sesso? Per esempio, se vediamo due che si baciano proviamo piacere anche noi?
«Be’, in teoria il meccanismo dell’empatia dovrebbe far sì che lo spettatore condivida il piacere delle due persone che si baciano.
Ma non è così per tutti. I fattori culturali possono spingere, per esempio, una persona tradizionalista a provare disagio per la scena, specie se si svolge in maniera eccessiva».
E qui entriamo in un ambito più ampio di riflessione: natura, cultura, società… Il neurologo Vilayanur S. Ramachandran ha affermato che i neuroni specchio saranno per la psicologia quello che il Dna è stato per la biologia.
«I neuroni specchio svelano un meccanismo unificante che spiega molti fenomeni. Ci fanno capire come possiamo immediatamente intuire le azioni e le intenzioni degli altri, come pure le loro emozioni. Dal punto di vista sociale indicano la presenza in noi di un meccanismo che ci rende partecipi della vita altrui.
La natura non ha fatto di noi delle monadi, ma delle persone che continuamente reagiscono con gli altri, capaci di partecipare ai dolori altrui. Non siamo degli egoisti, ma abbiamo una base neurale che dovrebbe fare di noi (società permettendo) degli altruisti».
Che esperimenti sono stati fatti per provare l’empatia?
«Il neuroscienziato Christian Keysers, che a quel tempo lavorava con me, e Vittorio Gallese, che ora è direttore scientifico del Neuroimaging-center dell’University medical center di Groningen, in Olanda, hanno fatto annusare ad alcune persone un odore di uova marce e hanno registrato cosa succedeva nel loro cervello usando la tecnica della risonanza magnetica funzionale. Poi hanno fatto vedere alle stesse persone immagini di attori che sentivano i medesimi odori e che esprimevano disgusto.
Ebbene, nello spettatore si attivavano le stesse aree coinvolte quando provava la medesima emozione».
E nel caso del dolore?
«La neuroscienziata Tania Singer ha sottoposto alcune donne a piccoli shock elettrici che provocavano un lieve dolore. Poi ha mostrato dei filmati dove sembrava che i loro fidanzati ricevessero lo stesso shock. I risultati hanno evidenziato che nelle spettatrici si attivavano le stesse aree cerebrali che entravano in gioco quando provavano dolore».
Ma è vero che le donne sono più sensibili alle emozioni?
«Sì. Dal punto di vista evolutivo è logico, la cura primaria dei bambini è della donna. Se la madre non sentisse empatia verso i propri figli, avrebbe molta difficoltà ad accudirli, perché è una cosa che richiede notevoli sacrifici.
Ma la conclusione è che sia le donne sia gli uomini sono progettati, diciamo così, per avere un rapporto empatico con gli altri. Non siamo fatti per vivere da soli, ma per stare insieme e partecipare alle emozioni altrui».
Se la natura ci ha fatto altruisti, perché il rapporto con gli altri a volte è conflittuale?
«La colpa è dei fattori culturali e del modo in cui siamo stati cresciuti. Se i meccanismi naturali ci predispongono a stare con gli altri, gli stimoli sociali possono frenarci. Una cattiva educazione sociale può atrofizzare i meccanismi dei neuroni specchio, impedendoci di sentire quello che provano gli altri e quindi di entrare in empatia con loro».
Può succedere che sia una malattia a danneggiare il cervello: che applicazioni terapeutiche può avere la sua scoperta?
«È stata avviata una sperimentazione sui pazienti colpiti da ictus. Si proiettano a questi malati filmati di persone che fanno i movimenti e si chiede loro di imitarli o, se non possono farlo, di immaginarli. Questa tecnica affianca la riabilitazione motoria e dati preliminari sembrano indicare che produca degli effetti positivi».
Come saremmo senza i neuroni specchio?
«Il mondo che ci circonda potrebbe sembrarci incomprensibile tanto quanto un pianeta popolato da alieni. Probabilmente non avremmo una vita sociale e la nostra sopravvivenza non sarebbe scontata».
Intervista di Simona Ravizza – OK La salute prima di tutto
Ultimo aggiornamento: 2 dicembre 2009