Il trapianto di fegato può diventare necessario quando l’organo è seriamente danneggiato da una malattia epatica, come cirrosi, forme tumorali primitive, fegato policistico, malattie metaboliche ed epatite fulminante. Ecco come funziona in Italia la procedura che porta al trapianto.
• La lista d’attesa. È il centro trapianti a valutare se il paziente ha bisogno di un nuovo fegato. In caso positivo, invia la documentazione al centro interregionale di riferimento (Cir) che provvede a inserire il paziente in lista d’attesa. Il Cir effettua inoltre la ricerca di anticorpi linfocitotossici sul siero del paziente: nel momento in cui c’è un donatore si esegue una prova (cross-match) per assicurarsi che nel siero del paziente non ci siano anticorpi che reagiscono contro le cellule di quel donatore.
Ogni malato può essere assistito solo da un centro trapianti e deve essere iscritto al Servizio sanitario nazionale (che si fa carico anche dei costi dell’intervento). Per rimanere iscritti in lista, bisogna sottoporsi a visite periodiche al centro trapianti.
La lista d’attesa permette d’incrociare i dati di donatori e richiedenti: le richieste sono organizzate in modo da dare la precedenza ai casi più urgenti, aggiudicando il miglior organo disponibile.
• I donatori. Secondo la legge, è possibile espiantare un organo (e quindi anche il fegato) solo da persone che siano clinicamente morte, cioè che abbiano subìto lesioni cerebrali irreversibili per un trauma cranico (incidenti stradali o infortuni gravissimi), o per forme molto gravi di emorragia o ischemia cerebrale, o per altre patologie ancora.
La legge prevede un periodo di osservazione, durante il quale i parametri cerebrali del paziente devono confermare lo stato di morte clinica. Solo a quel punto, l’autorità sanitaria può autorizzare l’espianto.
È possibile dichiarare (anche online) se si vuole essere considerati donatori: al momento, se non sono state date indicazioni si chiede il consenso ai parenti più prossimi.
In casi particolari, che vanno valutati attentamente caso per caso, è possibile anche donare parte del fegato da vivi: solo un parente diretto può però prendere questa decisione, di per sé traumatica (anche se l’esperienza mostra che il fegato tende a rigenerare la parte mancante e la letteratura scientifica rileva che il donatore “da vivo”, nella maggior parte dei casi, riprende abbastanza rapidamente a condurre una vita normale). In ogni caso, deve essere un magistrato a dare il via libero definitivo.
• L’intervento. Quando c’è un organo disponibile, l’équipe che deve espiantare l’organo deve coordinarsi alla perfezione con i chirurghi che eseguiranno poi il trapianto. Il fegato rimane intatto solo per poche ore, quando viene estratto dall’organismo, e la rapidità dell’espianto e del viaggio per trasportare l’organo, diventa essenziale.
L’intervento di trapianto può essere diviso in tre fasi: la prima prevede la rimozione del fegato malato (epatectomia totale); la seconda è quella dell’inserimento del nuovo fegato nell’addome del paziente (senza la reale circolazione del sangue, che viene deviato); infine il nuovo organo viene collegato alle arterie e alle vene del malato, nonché all’apparato digestivo. È un intervento complesso, anche se ormai ben collaudato, e che dura 8-12 ore.
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Ultimo aggiornamento: 26 aprile 2010