Commento di Emanuela Zerbinatti,
medico e blogger di ARTE E SALUTE
Amy Winehouse è morta. Il corpo della cantante 27enne è stato trovato sabato pomeriggio nell’appartamento londinese di Camden Square.
La notizia ha subito fatto il giro del mondo tra lo sconcerto generale. Agenzie, fan, tutti si aspettavano la smentita. Uno scherzo, una trovata pubblicitaria, una notizia non controllata spacciata per vera. Ai personaggi famosi accade spesso di morire «per finta». La stessa Amy Winehouse era già «morta» un’altra volta, perché credere che fosse morta davvero ora? Era giovane, ammirata da tutti, piena di soldi e talento, cosa mai poteva uccidere una così?
L’incredulità che serpeggiava all’uscita della notizia cozzava però un po’ col personaggio. Amy era sì nota per il talento, ma anche per la vita spericolata: solo qualche settimana fa depressione, alcolismo e abuso di stupefacenti avevano portato alla cancellazione del suo ultimo tour nel modo peggiore, con lei che sale sul palco ubriaca e strafatta, incapace a mettere insieme musica e parole e il video che impietoso fa il giro del web.
Prima però c’erano stati anoressia, bulimia, ricoveri urgenti, tentativi di riabilitazione e crolli, in una girandola infernale alimentata dai fiumi d’alcol e droga che le scorrevano intorno. Fino alla fine. L’ultimo giro di giostra. Alla base della morte vi sarebbe, infatti, un cocktail micidiale di alcol e farmaci. Suicidio oppure overdose accidentale? Gesto voluto o tragica fatalità in una persona che scherza col fuoco?
Presto per dirlo, ammesso che mai si riesca a capirlo. L’abitudine della cantante a giocare con la vita farà propendere i più per la seconda ipotesi. Dai commenti a caldo subito dopo l’uscita della notizia di ieri traspariva anche molta durezza che mal si confrontava con l’incredulità e la disperazione dei tanti ammiratori. «Se l’è andata a cercare! Perché darsi pena o disperarsi per la morte di una che aveva tutto e l’ha gettato via?», ci si chiedeva un po’ ovunque.
Certo, se per «tutto» s’intendono soldi, fama e successo è difficile negare che Amy Winehouse avesse tutto. Ma il conto in banca milionario e i gli stadi pieni di gente in trepidante attesa per il proprio passaggio non sono un viatico per la felicità. Semmai il contrario: sono la causa dell’infelicità di chi lo crede e fa di tutto per averli. Se non riesci a ottenerli nonostante gli sforzi sei infelice, se ci riesci ti accorgi di non aver guadagnato nulla in felicità e sei infelice. Non c’è scampo per chi affida la propria felicità agli altri, a quello che pensano di noi o a beni materiali come i soldi.
In ogni caso Amy Winehouse non dava l’impressione di essere minimamente felice. In Love Is A Losing Game, uno dei suoi brani più belli, per me che non l’amavo particolarmente, cantava:
Love is losing game
One I wish I never played,
Oh, what a mess we made
And now the final frame,
Love is a losing game
Played out by the band,
Love is a losing hand
More than I could stand,
Love is a losing hand
(L’amore è un gioco perdente
Perché vorrei non aver mai giocato?
Che casino abbiamo combinato
E adesso la montatura finale è che
L’amore è un gioco perdente
Sviluppato dal gruppo
L’amore è una mano perdente
Più di quello che potevo sopportare
L’amore è una mano perdente)
Ma l’impressione è che per Amy tutta la vita e non solo l’amore fosse «un gioco perdente». Qualcosa di cui a un certo punto ci si deve chiedere «Perché preferirei non aver mai giocato?». La verità è che la vita è sì un gioco perdente, ma solo se non si gioca mai. Chi si lascia vivere non gioca, chi si lascia morire non gioca. Vivere davvero è l’unico modo per uscire vincitori nella partita con la vita.
Emanuela Zerbinatti
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