Un naso rosso da clown e un musetto di gatto. Sono loro che mi hanno tirato fuori dal buco nero in cui sono scivolata dieci anni fa: la voglia di non fare più nulla, di non mangiare, di lasciarmi morire. In una parola, depressione. Io ci sono piombata dentro quando ho perso il lavoro.
Stavo in un’agenzia di viaggi: era perfetto per me, che ero curiosa, amavo stare tra la gente e viaggiare. Quando l’agenzia ha chiuso, tutto è cambiato. Dormivo e dormivo. Non uscivo di casa. Volevo solo sparire. Capire di essere depressi ed esserne consapevoli non è facile. Si pensa: passerà. Io sentivo di aver deluso tutti.
Gli amici, i genitori, i conoscenti, tutti. Il rapporto con gli altri era diventato un incubo, leggevo nei loro sguardi la mia disperazione. Non mi capivano. A volte chi ti sta vicino crede di aiutarti, mentre crea ancora più problemi. Mi sono allontanata da tutti per non spiegare, raccontare i perché. Sentivo forte l’esigenza di essere compresa, non giudicata, né controllata, tanto meno psicanalizzata.
Ho fatto due, tre anni così. Un’ altalena di emozioni. Poi è arrivato un piccolo stimolo a reagire. Dalla mia gatta Camilla, un cucciolo che dipendeva da me. Ho iniziato a cucinare per la micia, poi per me. Ricette sfiziose. L’amore per il cibo mi ha ridato fiducia.
Incontrare un buon medico, umano, comprensivo, ha fatto il resto. L’ho trovato all’ospedale di Pisa, è diventato il mio punto di riferimento, ho capito che non sarei mai più stata sola. Ho smesso di leggere le controindicazioni sui bugiardini delle medicine e mi sono affidata a lui. Volevo coltivare la parte sana di me.
La terapia cognitivo comportamentale però restava un tabù. Non mi andava di scavare ancora dentro di me. Finché non ho letto di un gruppo di clown dottori di Firenze e li ho contattati. Sono diventata volontaria e da sette anni li seguo nelle loro iniziative. Racconto alla gente che cosa fanno, li aiuto a far conoscere la loro attività. Perché sono d’accordo con loro: anche quando c’è una parte buia, dolorosa, bisogna saper guardare quella che ancora sa sorridere.
Anche se sembra nascosta, come nella depressione. Insomma: pure quando il cielo è coperto, dietro le nuvole c’ è il sole, no? Sono stata anche in ospedale a vedere i clown dottori lavorare con i bambini. Ho assecondato i miei tempi, ho fatto le cose piano piano. A volte mi prendeva la paura che i piccoli malati sentissero il mio dolore. Così ho avuto uno stimolo in più per affrontarli.
Non sono del tutto guarita, il mio percorso è ancora lungo. Ma oggi so che i colori dei clown, la magia dei giochi e il sorriso dei bimbi di fronte alle bolle di sapone sono sprazzi di luce che illuminano il buio in cui ero piombata.
Roberta Sanguinetti, 49 anni, Santo Stefano di Magra (La Spezia)
(testimonianza raccolta da Federica Maccotta)
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