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Tony Sperandeo: sto male, sono depresso

«Aiutatemi, altrimenti mi ammazzo piano piano»

«Amavo Rita, ma litigavamo in continuazione», racconta Tony Sperandeo. «Un giorno lei si è uccisa. A 32 anni e mezzo. Io non ho neanche il coraggio di fare come lei. Tutti pensano che io sia un duro, invece io mi porto dentro delle fragilità che mi fanno soffrire».
L’urlo disperato dell’attore è stato raccolto da OK. A seguire, la lettera aperta che la neuropsichiatra Rosanna Cerbo gli ha scritto sul mensile.

«Sto male. Molto male, da tantissimo tempo ormai. Forse da tutta la vita. Ma solo da poco, da un mese, ho capito che dovrei chiedere aiuto. Che tipo di aiuto non lo so. A me, quelli dati allo psicologo, mi sono sempre sembrati soldi buttati. E poi, per come la vedo io, ammettere di aver bisogno di una mano ha il sapore della sconfitta.
No, no, forse è vero il contrario: per essere forti a un certo punto gli uomini devono ammettere la propria debolezza. Io, finalmente ho il coraggio di dirlo, avrei bisogno di qualcuno con cui comunicare, qualcuno da cui farmi conoscere veramente. Perché mi sembra di non esserci mai riuscito.
Amavo mia moglie, ma litigavamo in continuazione. Lei voleva fare l’estetista a Palermo, io le dicevo: “Vieni nella capitale, viviamo insieme”. Ma lei piangeva, non mi seguiva, e io andavo a Roma perché dovevo lavorare. Film, fiction, teatro, un sacco di cose. Per me ma anche per lei e i nostri figli, Tony e Priscilla, che ora hanno 19 e 16 anni.

Gruppo San Donato

Mia moglie si è buttata dal balcone
Quando tornavo a casa bisticciavamo, per un sacco di motivi. Discussioni normali tra marito e moglie, io così pensavo. Invece un giorno, io ero a Roma, mi telefonano che mia moglie, Rita, si è buttata dal balcone e si è ammazzata. A 32 anni e mezzo.

Io non lo auguro a nessuno quello che ho passato la notte di sette anni fa. C’era pure uno sciopero degli aerei e sono riuscito ad arrivare a casa solo alle sei del mattino. La prima cosa che mio suocero mi disse fu: “Sei contento, adesso?”. E in chiesa, al funerale, quando mi sono avvicinato al microfono per salutare un’ultima volta Rita, mio figlio, aveva 12 anni allora, si è alzato ed è andato via. Io non credo che sia colpa mia quello che è successo.
Io lavoravo, lavoravo, non so se avevo capito o no che mia moglie era depressa. So che, anche quando litigavamo, io urlavo, sbraitavo, dicevo: “Ora me ne vado”. Poi scendevo di un piano e mi dicevo: “Ma che sto facendo?”. E così tornavo subito su.
Mia moglie chissà che credeva andassi a fare a Roma. Io facevo solo il mio mestiere.
Il problema mio è che non riesco a comunicare. Non riesco neanche a fare capire ai miei figli quanto li amo. Loro vivono a Palermo, con le sorelle di mia moglie. Tutti pensano: “Sperandeo fa l’attore, è un duro, guadagna soldi, se la spassa”. Ma la verità è che sono solo e che non ho il coraggio di ammazzarmi tutto in una volta, come ha fatto mia moglie.
Allora io mi ammazzo, piano piano: dieci anni fa sono stato operato di enfisema polmonare, eppure fumo come un turco. Poi non dormo la notte, non dormo mai, e m’incazzo. Sono un morto che cammina.

Sono perduto se non ritrovo l’amore dei miei figli
La verità è che io sono uno che ama tantissimo gli altri ma non ama per niente se stesso. Ho cercato di fare di tutto per dimostrare tutto questo amore che avevo dentro. Ma alla fine ci rimetto sempre. Ho amato altre donne, ma loro, o le loro famiglie, vedevano sempre Sperandeo il duro, magari un poco di buono, sarà colpa della mia faccia o di come parlo, con l’accento siciliano.
E così sto male. Talmente male che io, che sono uno che sul lavoro dà cento, ci sono giorni che do sessanta. E allora m’incazzo con me stesso. La prima volta che sono riuscito a dire queste cose, a parlare di quello che avevo dentro, è stato con mia madre. Lei mi ama davvero e crede che io non pensi a lei perché per mesi non mi faccio sentire. Se non chiamo è per non farle capire che sto male. Quella volta, due anni fa, le aprii il mio cuore. Certe mie fragilità io le ho prese da lei. Ma lei è una persona buona, mentre a me queste fragilità fanno soffrire. Comunque mia madre mi ha fatto capire una cosa: dopo la morte di mia moglie, io sono andato a cercare a chi dare amore, perché ho l’animo del bambino sperduto. Magari avrei dovuto concentrarmi sui miei figli. Però come? Per loro un giudice ha scelto che crescessero lontano da me: io sono un padre distante, lontano. Ora sto recuperando un po’ di dialogo con mia figlia Priscilla, di tanto in tanto mi manda degli sms. Ma Tony, il grande, l’ho perso. Io lo so, ne sono certo, mi serve aiuto. Ma non so neanche se il mio male si chiama depressione. O se è solo il bisogno di ritrovare l’amore dei miei figli».
Tony Sperandeo (testo raccolto da Barbara Rossi nel novembre 2008 per OK La salute prima di tutto)

La lettera aperta della neuropsichiatra:
caro Sperandeo, si lasci salvare da noi
«Una volta toccato il fondo, sì, proprio quel fondo scuro dove ci si macera aspettando che la luce torni a scaldare, si può risalire.
Caro Sperandeo, lei il primo passo l’ha già compiuto. È questa richiesta d’aiuto. Disperata, com’è disperato ogni grido di dolore che preme per uscire. Ma il grido stesso nasconde il germe della rinascita. Ora le spetta intraprendere il cammino. Si inizia in un solo modo, su questo non transigo: accettando l’aiuto dei medici. Dovrà recuperare il rapporto con se stesso, anche con il suo fisico. Poi potrà dedicarsi a ricostruire il legame con i suoi ragazzi.
Un padre che si autocommisera e si vuole annientare con le sigarette non sarà mai accettato dai propri figli. Venga da noi, si faccia aiutare a superare quel senso di colpa che la schiaccia. Non si spaventi se le proporremo una cura farmacologica da seguire per il tempo necessario e una psicoterapia di supporto. Non vuol dire che lei passerà il resto della sua vita su un lettino. Smettere di fumare sarà un altro momento decisivo, come liberarsi da un mucchio di scorie che la trascinano verso l’autodistruzione. Determinazione e pazienza: vedrà, le troverà.
Vedendo in lei una nuova luce, i suoi figli riacquisteranno fiducia nella figura paterna, che tornerà a essere un punto di riferimento. Ma ricordi: tutto comincia quando accetterà di aver bisogno di aiuto. Questa è la più grande manifestazione d’affetto che lei può far giungere ai suoi ragazzi. Verrà ascoltato e premiato. E piano, come dice il poeta, tornerà a riveder le stelle. Tornerà a sorridere, con quell’intensità che l’ha resa un grande attore».
Rosanna Cerbo (puoi chiederle un consulto)

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