Sessualità

Stupro: quando un no al sesso è un no?

Come si misura il consenso? E, soprattutto, come lo si prova? Non sono temi soltanto legali, ma di notevole interesse sessuologico e capaci di avere un grande impatto sui rapporti di coppia e sulle dinamiche sociali

Ogni volta che Gemma entrava nella biblioteca pubblica del quartiere dove lavorava, carica dei libri richiesti dagli utenti, gli sguardi degli uomini si trasformavano in visibilissimi raggi laser, vermigli di desiderio, che la scannerizzavano da capo a piedi. Non vestiva, come si dice, in maniera particolarmente sexy. Ma nemmeno senza cura e attenzione per la propria femminilità, che accettava e raccontava nei suoi movimenti e nei suoi gesti come la cosa più naturale del mondo. Senza provocazione, senza ostentazione, ma senza nemmeno troppo nascondersi. Con ciò, era una donna bella, colta, capace di mettere a frutto la laurea in biblioteconomia, che aveva avuto una normalissima vita sentimentale dalla quale si era di recente presa una pausa.

A Gemma non dispiaceva piacere a Riccardo, il direttore delle biblioteche cittadine. Anche lui un bell’uomo, di una quindicina d’anni più grande, sposato ma preceduto da una gran fama di seduttore. Certamente non insensibile allo charme di Gemma. La quale però, nonostante gradisse un poco di attenzione maschile da parte del datore di lavoro, che considerava un mentore da cui imparare, non aveva mai avuto intenzione di andare oltre. Ed era sempre stata chiara, ferma e cortese ogni volta che le avances dell’uomo si facevano più insistenti.

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Le donne se la cercano

Ma non era questa l’interpretazione di Riccardo, nutrito di miti maschili, magari sostenuti da letture e film centrati su un modello di società diverso. Secondo il quale se lei ti dice no è perché ti vuole nel suo letto. È così Riccardo apparve sinceramente stupito quando si trovò in tribunale a difendersi di violenza carnale per avere chiuso a chiave la biblioteca dove Gemma stava facendo l’inventario, per averla spogliata a forza, baciata e penetrata mentre lei lo scongiurava di lasciarla libera e poi terrorizzata singhiozzava, paralizzata dalla violenza dell’uomo, senza forza di difendersi, apparentemente arrendevole.

Eppure, si difese Riccardo, le sue gonne cortine e le maglie attillate non lasciavano dubbi su quello che realmente volesse. E lui quella sera le aveva chiesto se fosse interessata a fare gli straordinari e quando era ritornato, del tutto inatteso, nella biblioteca, le aveva anche portato dei fiori. Insomma, se non se l’era cercata, era perlomeno palese che fosse quello che realmente, sotto sotto, voleva. L’avvocato fece del suo meglio per chiamare testimoni a difesa dello stupratore e del suo peggio per umiliare Gemma, la cui vita quotidiana, sentimentale e ovviamente sessuale, fu disaminata in ogni aspetto.

Pregiudizi duri a morire

Nella ragazza si alternavano il pentimento per aver denunciato Riccardo con la fierezza per averlo fatto. Oltre alla inenarrabile sofferenza per la violenza subita c’era da pagare un prezzo altissimo di pubblica e intima umiliazione. Alla fine, il giudice chiese a Riccardo: ma Gemma le disse mai di sì? L’uomo rispose che si sa come sono fatte le ragazze e si sa anche che un po’ di violenza nel sesso è più che naturale.

In effetti l’Istat riferisce che il 40% della popolazione ritiene che una donna sia ben in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole e che quindi almeno una parte della responsabilità sia sua, anche nello stupro. E più della metà di questi (e queste) pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire o di atteggiarsi. Il sondaggio non era del 1819 né del 1919, ma del 2019!

Lo stupro è un rapporto sessuale senza consenso

Incurante di questo così diffuso pregiudizio, il giudice rivolse quindi la stessa domanda a Gemma. Che dichiarò con fermezza di non aver voluto, nemmeno per un attimo, un rapporto sessuale col suo datore di lavoro. Il giudice applicò quindi l’articolo 609 bis del codice penale, ma nella sentenza fece anche riferimento alla Convenzione di Istanbul, peraltro ratificata dall’Italia, per cui lo stupro è un «rapporto sessuale senza consenso».

Nonostante la sostanziale ovvietà di questo principio, l’avvocato difensore fece appello, sostenendo che sì l’Italia aveva aderito alla convenzione ma non l‘aveva mai (e non l’ha ancora) ratificata nel codice penale. Che ancora fa riferimento al Regio Decreto del 19 ottobre 1930, n. 1398, e che manca tuttora della parte relativa al consenso. Per fortuna il dispositivo della sentenza era ben scritto e l’evidenza della porta chiusa a chiave, ammessa ma giustificata da Riccardo come protezione della privacy, fu sufficiente in tutti i gradi di giudizio per dimostrare che violenza c’era stata.

Stupro, cioè il fallimento della virilità

Qualche mese fa la Danimarca si è unita al plotone dei 12 Paesi dell’Unione, tra cui Belgio, Germania, Grecia e Irlanda, che hanno trasformato in legge la Convenzione di Istanbul. E da noi? Amnesty International ha promosso una petizione in cui si chiede al ministro della Giustizia la revisione del citato articolo 609 bis del codice penale affinché qualsiasi atto sessuale non consenziente sia punibile adottando un modello che valorizzi l’elemento del consenso della persona offesa e non la violenza o la minaccia. E adeguando in questo modo la legislazione italiana agli standard internazionali e, in particolare, alla Convenzione di Istanbul.

Insegno ai miei studenti e non perdo occasione per ribadirlo che lo stupro, come la violenza di genere e ogni forma di abuso sessuale, non è solo quell’odioso e criminale delitto che non trova giustificazione né nella cultura, né nell’educazione, né nella religione, né tantomeno negli ormoni o nella biologia (nonostante sia largamente presente in natura), ma un vero e proprio fallimento della virilità che ha nel suo codice genetico proprio la protezione della compagna.

In altre parole, sostengo che il violentatore sia un impotente, anche se magari la sua erezione è stata capace di vincere e stuprare. E dico impotente (e non affetto da disfunzione erettile) perché non-potente, non capace di sedurre, nel senso etimologico di «condurre a sé» senza l’uso della forza e dell’inganno. Insomma, direbbero gli americani, una volta tanto a ragione: un looser, un perdente meritevole delle pene più severe. Figuriamoci quindi se non sono più che a favore dell’adeguamento del codice penale italiano alla Convenzione di Istanbul. Ma attenzione, perché l’argomento richiede una riflessione in più, come la storia che segue ci insegna.

Quando è lei ad approfittarne

Dal centro Italia, dove lavorava Gemma, ci spostiamo a Varese. Linda ha appena iniziato i suoi 40 anni, è madre di famiglia, come si dice, è anche molto piacente ma ha un serio problema col gioco. Nella sala bingo dove si seppellisce appena può, sul retro del bar dove compra il latte tutte le sere e ogni tanto beve uno spritz con l’ignaro padre dei suoi figli ha visto donne più giovani e più anziane di lei proporre agli ultimi clienti o ai baristi un po’ di sesso in cambio degli spiccioli necessari a continuare a giocare con la slot machine.

Ma lei ha un piano per rifarsi delle perdite e continuare a spremere dopamina nelle aree della ricompensa del suo cervello ogni volta che abbassa la leva della macchina mangiasoldi. Prende appuntamento, accusando un’inesistente sciatalgia, con un ben noto fisioterapista sui sessant’anni, Mario. Mentre si fa massaggiare i muscoli lo riempie di complimenti, cui il professionista risponde lusingato e altrettanto complimentoso, ma senza mai eccedere. Il telefonino acceso in modalità registrazione le dà quel che voleva.

Quando per un ricatto si finge lo stupro

La settimana successiva si ripresenta da Mario non in veste di cliente ma di ricattatrice e dice al malcapitato: o mi consegni mille euro o vado dal giudice a dire che mi hai toccato la vagina, cercando di eccitarmi durante la fisioterapia. È la mia parola contro la tua, ma io ho anche i frammenti di registrazione che sono riuscita a salvare nel telefonino che dimostrano, o perlomeno lasciano ben intuire, quale fosse il tuo bieco scopo.

D’altra parte, a nessuno verrebbe in mente che sia stata io a provocarti, vista la differenza di età e il nostro aspetto fisico. Questa volta è l’avvocato, cliente e amico di Mario che consiglia di pagare e magari anche di trasferirsi altrove per evitare ulteriori ricatti. Perché un processo lo avrebbe sicuramente danneggiato e assai probabilmente condannato. Conosco colleghi che non prenderebbero mai l’ascensore con una studentessa, soprattutto se appena avvenente, per timore di essere accusati di chissà che cosa allo scopo di ottenere un 30 all’esame. Io stesso da sempre ricevo gli studenti con le porte del mio studio rigorosamente spalancate, come è giusto che sia.

Stupro: come si misura il consenso?

stupro consenso

Insomma, la giusta legge europea sul consenso, dal 1° gennaio di quest’anno anche danese, non rischia di cambiare i rapporti tra i generi? Come si misura il consenso? E, soprattutto, come lo si prova? Non sono temi soltanto legali, ma di notevole interesse sessuologico e capaci di avere un grande impatto sui rapporti di coppia e sulle dinamiche sociali.

È evidente che la legislazione sul consenso sia un giusto correttivo a migliaia e migliaia di anni di violenze maschili sulle donne, ed è evidente che ben poco d’altro si possa fare per rieducare l’atavico maschilismo. Anche se da un pezzo il codice civile italiano subordina il diritto al sesso coniugale al consenso, la storia di Mario non deve lasciarci indifferenti, così come l’aneddoto dei professori che preferiscono far le scale (non che faccia male, anzi!) piuttosto che rischiare un ricatto o soltanto un’umiliazione.

In una causa di divorzio può essere vantaggiosissimo dichiarare che il marito ha esercitato violenza fisica o morale nei rapporti sessuali coniugali per ottenere la rovina economica (come spesso accade), associata a una bella condanna penale e alla morte civile. L’adeguamento delle pandette italiane allo standard di Istanbul renderebbe un simile delitto, stavolta a criminali invertiti, molto più facile.

Stupro: “no vuol dire no”

Ci dev’essere quindi un correttivo, e anche molto robusto, proprio per difendere lo spirito della nozione di consenso come presupposto fondamentale per il sesso. E questo correttivo non può che essere costituito da pene almeno altrettanto severe per chiunque menta e accusi ingiustamente degli innocenti. Ed è certamente innocente chi, con garbo, assoluto rispetto e senza alcuna coercizione, cerchi di sedurre un altro, un’altra. Altrimenti il bel motto che sostiene la legislazione antistupro, No Means No (no vuol dire no), non avrebbe senso. Perché qualcuno risponda no ci deve pur essere qualcun altro che chieda. La colpa non può essere infatti nel chiedere, nel proporre, nel proporsi. Sarebbe la fine dei rapporti di coppia, se non della nostra specie. La colpa è nel non voler ascoltare i segni verbali o semplicemente comportamentali che indicano il rifiuto. Com’era accaduto all’«impotente» Riccardo.

Un programma educativo

I rapporti tra sessi sono complessi. Così come i rapporti tra individui, e una legge non può regolamentarli in maniera perfetta. Ma può e dev’essere una guida importante. Per questo si parla di «spirito della legge», proprio perché chi giudica deve interpretare con coscienza e senza arbitrio quale fosse lo spirito del legislatore.

Per esempio, se si incorpora la Convenzione di Istanbul nel proprio codice penale e poi si puniscono adulti, appunto, consenzienti, si cade in un ridicolo sessismo, seppure al contrario, gravato di ideologia. Pensiamo al caso della Svezia o della Francia dove viene severamente punita la clientela della prostituta. Solo un ignorante può pensare sia sempre e comunque sinonimo di schiavitù e solo un ipocrita può applicare il principio del consenso a corrente alternata.

Stupro: il movimento #wetoo

Se tra adulti c’è consenso a svolgere un’attività lecita (e il sesso, voglio proprio sperare, ricade pienamente nell’elenco delle attività lecitissime), non può esserci colpa. Per questo motivo la Società italiana di andrologia e medicina della sessualità sta sviluppando un programma di studi scientifici intitolato #wetoo. A voler sottolineare che non sempre (anche se troppo sovente) c’è una vittima femminile, come vorrebbe quel #metoo che tutti ricordiamo. L’idea è che tutti devono essere educati al rispetto di genere. Prima di tutto i maschi testosteronici formati dalla veterocultura maschilista e patriarcale e dalla pornografia violenta (la biastofilia, troppo frequente nel porno, che significa attenzione erotica, fantasie e/o comportamenti in cui viene messo in atto o simulato uno stupro o sesso su una persona non consenziente) a considerare la violenza sessuale un proprio diritto.

Le donne come Gemma sono tantissime, troppe. La strada per liberare i maschi dalla loro impotenza è ancora lunghissima da percorrere. Se è vero che moltissime donne non hanno la forza o il supporto sociale e familiare per andare a denunciare, come ha fatto la bibliotecaria, l’aguzzino, è vero anche che devono essere educate le mamme e le nonne che sono state vittime e creano carnefici e potenziali vittime silenziose, trasferendo messaggi sbagliati a figli e nipoti. E devono essere educate e ammonite le donne disoneste e interessate, come la furba e cinica Linda. Oppure quelle abbandonate o semplicemente deluse per non essere state sedotte. È bene che sappiano che la legge non è (in questi casi) dalla loro parte. Non dimentichiamo infine che devono essere educati anche i politici che pensano di poter legiferare su cosa accade in una camera da letto dove due adulti, appunto, consenzienti, fanno l’amore.

L’appello di Amnesty

La Convenzione di Istanbul, approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 dice, tra l’altro: «La violenza contro le donne è la violenza dei diritti umani e una forma di discriminazione nei confronti delle donne e si intendono tutti gli atti di violazione di genere che determinano o sono suscettibili di provocare danno fisico, sessuale, psicologico o economico o una sofferenza alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica o privata; (…) il consenso deve essere dato volontariamente, quale libera manifestazione della volontà della persona, e deve essere valutato tenendo conto della situazione e del contesto».

In Italia, l’articolo 609 bis (R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398) del codice penale in vigore recita: «Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da sei a dodici anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1. abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto. 2. traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona». Come in molte nazioni europee Amnesty International richiede al nostro ministero della Giustizia che venga recepito lo spirito della Convenzione, stabilendo che lo stupro è un «rapporto sessuale senza consenso», affinché qualsiasi atto sessuale non consensuale sia punibile.

La petizione si firma on line all’indirizzo www.amnesty.it/appelli/il-sesso-senza-consenso-e-stupro/.

I doveri coniugali

I doveri stabiliti dal codice civile italiano per entrambi i coniugi sono i seguenti:

1) fedeltà;

2) assistenza morale e materiale;

3) collaborazione nell’interesse della famiglia;

4) coabitazione;

5) obbligo di contribuzione ai bisogni della famiglia in proporzione alle proprie capacità economiche e di lavoro.

Il secondo punto è stato interpretato, anche se non è scritto esplicitamente, in senso di dovere sessuale. Tra i doveri di una moglie (e di un marito) c’è quello di soddisfare affettivamente e sessualmente il proprio partner. Rientrerebbe, in certo qual modo, proprio tra gli obblighi di assistenza morale. La giurisprudenza usa spesso, e non casualmente, il termine «soddisfare» anteponendo l’affetto al sesso. Quindi, qualora l’affetto fosse venuto meno negli anni a causa di una molteplicità di fattori, rientra nei diritti di una moglie o di un marito sottrarsi ai doveri sessuali. Naturalmente questo può avere conseguenze. Nel momento in cui uno dei due coniugi vuole avere rapporti e l’altro li rifiuta sistematicamente, il primo può chiedere la separazione con responsabilità a carico dell’altro (cosiddetto addebito).

Tuttavia, la stessa giurisprudenza stabilisce che, all’interno delle dinamiche di coppia, nessuno può pretendere un rapporto sessuale in nome dei propri diritti coniugali. Il rapporto sessuale consumato tra due coniugi dovrebbe sempre essere il frutto delle decisioni della coppia e mai una scelta unilaterale. Chi vuol far l’amore col coniuge deve comunque attendere il consenso di questi e, se tarda o se viene negato senza giustificate ragioni, può allora procedere per le vie legali. Ma non può mai forzarlo (tantomeno col ricatto che, se non cede, chiederà la separazione, il mantenimento e lo metterà sul lastrico). Il rapporto sessuale deve infatti ricevere un consenso autentico e pieno. Un consenso non sempre facile da certificare.

Emmanuele A. Jannini

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