In questo numero OK dedica un ampio e documentato articolo al mobbing. Il termine viene dalle scienze naturali ed è stato creato negli anni 70 dal noto etologo Konrad Lorenz, per descrivere un particolare comportamento di alcune specie animali che assalgono uno di loro per allontanarlo dal branco. L’italiano, e molte altre lingue europee, hanno scelto non a caso, dunque, di adottare questo termine per indicare la violenza psicologica perpetrata sul posto di lavoro.
Il mobbing è la distruzione psicologica di una persona per «eliminarla», possibilmente con le dimissioni, con l’autolicenziamento. La distruzione inizia in genere con l’isolamento in tante forme: può cominciare con un saluto negato, battute che diventano insulti, per passare alla persecuzione fino al sabotaggio, alle azioni illegali e persino agli episodi di violenza, anche sessuale. È una forma di terrorismo psicologico.
Lo scopo è chiaro, ma le motivazioni non altrettanto. Come si può passare dalla naturale competizione e dalla voglia di successo personale all’odio e all’aggressività? Secondo Freud, l’aggressività umana è darwinianamente un residuo animale nell’uomo. Per permettere la convivenza sociale, le spinte aggressive vengono rimosse nel mondo dell’inconscio, ma basta una provocazione più forte, un insieme di circostanze che allentano i freni inibitori, ed ecco che l’uomo torna a manifestarsi nella sua crudeltà primitiva: «Homo homini lupus», dicevano i latini («l’uomo è un lupo per l’uomo»).
Io, invece, mi sento di contestare questa posizione, insieme all’ampia schiera di sostenitori dell’ipotesi «ambientale» dell’aggressività umana, che la vede come risposta a qualsiasi minaccia alla sopravvivenza propria o delle persone che amiamo. Quindi credo che anche il mobbing abbia cause profonde: cause che, certo, la crisi economica può inasprire. Se si teme di perdere il proprio lavoro o la propria posizione con relativo stipendio, la soluzione più semplice è tentare di prevaricare gli altri. Tanto più se gli altri sono socialmente più fragili, come le donne, che sono infatti le principali vittime del mobbing.
Che fare, allora? Credo che innanzitutto non dobbiamo rinchiuderci nella rassegnazione. Prima di tutto il mobbing va smascherato con grande lucidità e quindi affrontato con coraggio, responsabilità e razionalità. La prima mossa vincente di chi subisce il mobbing è il dialogo. Bisogna prendere coscienza della situazione e parlarne con gli amici e i familiari, con i colleghi e, se possibile, con il gruppo o la persona che esercita i soprusi. Poi con i legali. È un percorso difficile, soprattutto per le persone più deboli. Un percorso che, soprattutto, presuppone l’esistenza, a livello sociale, di un alto grado di civiltà e di una giustizia equa. Parlare di questo gravissimo problema a livello individuale e dibatterne pubblicamente sui media è già tuttavia un primo passo nella giusta direzione.
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