«L’emofobia (dal greco aima, sangue, e phobos, paura) è una fobia caratterizzata dall’insorgere di uno stato d’ansia violento e incontrollabile che si scatena alla vista o all’immaginazione del sangue, proprio o altrui», spiega Giorgio Maria Bressa, docente di psicobiologia del comportamento all’Istituto Progetto uomo di Viterbo.
«In alcuni casi, l’emofobico arriva a evitare le situazioni e i luoghi dove sa di poter vedere il sangue. Per esempio, l’ansia sopraggiunge alla vista degli aghi o al pensiero di un prelievo».
• I sintomi. Sudore freddo, tremore, pallore, mal di stomaco, giramenti di testa, sensazione di svenimento. Si rimane paralizzati per qualche minuto in preda a un forte disagio. La perdita dei sensi arriva solo in persone che soffrono di altri disturbi: pressione bassa o una leggera vagotonia.
• Chi colpisce. Spesso l’emofobia deriva da un evento traumatico passato e legato al sangue che ha fatto scattare nel paziente un allarme ansiogeno. Ne soffrono in genere le persone che hanno tendenza a sviluppare facilmente una condizione di ansia.
• Che cosa fare. Di norma dopo qualche minuto la crisi passa e i sintomi scompaiono da soli. Non esistono cure specifiche, con le forme di emofobia più lievi si convive senza problemi. Se un emofobico si trova in situazioni in cui deve prestare soccorso in presenza di sangue, non è detto che si tiri indietro: il cervello potrebbe spingere a superare la paura. Solo quando la fobia assume la forma di una patologia invalidante, per esempio impedendo di mangiare carne perché la si associa al sangue, allora si ricorre alla psicoterapia.
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