È giusto che una donna a cavallo della menopausa possa diventare madre? La questione della maternità tardiva è diventata d’attualità dopo che alcune donne celebri hanno annunciato la loro gravidanza a 50 anni e oltre, da Carmen Russo a Gianna Nannini, da Alessandra Martines a Heather Parisi. Nella stragrande maggioranza dei casi la gravidanza arriva con l’aiuto della scienza, una fecondazione assistita o più spesso un’eterologa, con donazione degli ovuli.
La prima domanda è: ci sono dei rischi, dal punto di vista psicologico, per queste mamme e, soprattutto, per i loro bambini? Secondo Grazia Attili (puoi chiederle un consulto), docente di psicologia sociale alla Sapienza di Roma e autrice di un recente saggio sulle madri e i padri dal titolo L’amore imperfetto, no: «Penso che una donna può essere una buona madre quando è in grado di riconoscere i bisogni del figlio, essenzialmente i bisogni emotivi, e di rispondere ai suoi segnali con prontezza. Si tratta di “competenze materne” che prescindono dall’età, in quanto collegate alle esperienze avute con le proprie madri e alle situazioni sociali in cui le donne vivono. Ritengo quindi che una donna possa essere felicemente madre anche in età avanzata e che possa anche adottare un figlio in età non più giovane. Uno sviluppo ottimale vuol dire assicurare ai piccoli cure continuative e costanti e porsi per un figlio come adulto più forte e più saggio. Capacità che prescindono dall’età».
Anche Elisabetta Rotriquenz (puoi chiederle un consulto), docente di psicologia giuridica all’Università di Firenze, è possibilista ma con un distinguo: «Non sono totalmente contraria al fatto di avere un figlio in un’età avanzata, tuttavia è necessario che la coppia, quindi non solo la madre ma anche il padre, goda di ottima salute. Cercare un figlio oltre i cinquant’anni, con una situazione di salute a rischio, mi pare un personale sfizio egoistico».
Mentre una psicologa esperta di terapia familiare come Sonia Piana (puoi chiederle un consulto) esprime più di una perplessità: «Sono per lo più contraria alla maternità e alla paternità in età avanzata. Dal punto di vista sistemico familiare esistono delle fasi della vita che vanno vissute appieno e rispettate cronologicamente. Tali fasi sono frutto sia della natura dell’essere umano che delle convenzioni sociali nate nel corso dei secoli; non è un caso, infatti, se l’età fertile coincide con la fase di svincolo dalla famiglia di origine e con una certa maturità dell’individuo. È anche vero che le nuove condizioni sociali ci stanno portando sempre più a ritardare tali fasi: la difficoltà di avere una propria indipendenza porta inevitabilmente i figli ad essere dipendenti dai genitori per un tempo più lungo e quindi a procrastinare tutte le altre fasi della vita. Allo stesso tempo, però, la società non è altrettanto pronta ad accettare queste situazioni “al limite” e ciò porta a notevoli difficoltà sociali e relazionali dei bambini e dei genitori-nonni stessi. Poi, certo, dal punto di vista psicologico ogni caso è a sé».
Alessandra Graziottin, direttore del centro di ginecologia e sessuologia medica al San Raffaele di Milano, solleva la questione della donazione di ovuli: «Per avere un bambino a cavallo della menopausa è quasi sempre necessaria un’ovodonazione, vietata in Italia, ma lecita all’estero (guarda: i centri all’estero per l’eterologa). Basti pensare che a 30 anni l’88% degli ovociti di una donna è esaurito. A 40 anni si arriva al 97%. Dopo quest’età fare un figlio con le proprie cellule germinali è più difficile. Portare avanti una gravidanza in età avanzata non è più pericoloso che per una quarantenne, ma bisogna essere in buona salute. Quanto al rapporto con il bambino in grembo, anche quando il patrimonio genetico non è il proprio, si stabilisce un legame molto forte».
Ma fino a che età è ragionevole ricorrere alla fecondazione assistita per avere un figlio? «Le probabilità di successo per una donna di 50 anni sono vicine allo zero», spiega Carlo Flamigni, tra i maggiori massimi esperti italiani in fecondazione assistita e docente all’Università di Bologna. «Sia la Società europea di riproduzione umane ed embriologia (Eshre), che la sua equivalente americana, sono chiare in merito: è consigliabile interrompere i trattamenti intorno ai 43-44 anni. I rischi fisici sono pochi, non è quello il punto. Il danno maggiore è psicologico. Rischiamo di mandare in frantumi il cuore di molte donne che si illudono di poter avere un figlio nonostante l’età avanzata».
Elisa Balconi – OK Salute e benessere