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40 anni di Pma
Il compleanno di Louise Brown, il 25 luglio, corrisponde all’anniversario della procreazione medicalmente assistita. E quest’anno compiono entrambe 40 anni, perché Louise è stata la prima bambina nata in provetta, nel 1978, all’ospedale di Oldham, nel Nord dell’Inghilterra. La sua nascita ha cambiato la storia della medicina: da quel giorno nel mondo sono nati oltre 5 milioni di bambini grazie alla procreazione medicalmente assistita. E in Italia, nel 2016, il 2,6% dei bambini è nato grazie a tecniche di Pma, come l’inseminazione artificiale, la fecondazione in vitro e l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (Icsi).
In questi 40 anni sono state sviluppate tecniche sempre più sicure. «Nel futuro della ricerca scientifica – spiega Daniela Galliano, direttrice del Centro IVI di Roma – c’è il ringiovanimento ovarico, la preservazione della fertilità nei pazienti oncologici e, grazie agli studi su ovociti e spermatozoi, la possibilità di indagare sempre più a fondo sull’infertilità. Non solo: lo sviluppo della diagnosi pre-impianto aiuterà a contrastare gravi malattie genetiche».
Accessibilità
L’età media delle donne che si sottopongono a tecniche omologhe rimane costante, 36,8 anni, ma aumenta progressivamente il numero delle donne con più di 40 anni che accedono a queste tecniche. Sono il 35,2% nel 2016, erano 20,7% del 2005. Nella fecondazione eterologa l’età della donna è maggiore se la donazione è di ovociti (41,4 anni) e minore se la donazione è di seme (35,2). Dal 2014 in Italia è possibile fare ricorso alla fecondazione eterologa, mentre dal 2016, con l’aggiornamento dei Livelli essenziali di assistenza, la pratica è stata inserita tra le prestazioni sostenute dal Sistema sanitario nazionale con un pagamento del ticket (500-1.000 euro a seconda della Regione). Nonostante questo, l’accessibilità all’eterologa in Italia rimane difficile, soprattutto perché deve fare i conti con lo scarso numero di ovodonatrici e con la disomogeneità regionale nell’accesso ai servizi sanitari. Di seguito le differenze tra fecondazione assistita omologa ed eterologa.
Fecondazione omologa
Parliamo di fecondazione assistita omologa quando il seme o l’ovulo utilizzati per la gravidanza appartengono alla coppia. «Oggi abbiamo a disposizione un sistema di congelamento particolare, la vitrificazione, che permette di ottenere un successo maggiore rispetto al trasferimento degli embrioni al fresco. Nei cicli di fecondazione assistita in cui ci sono stati fallimenti, è opportuno congelare gli embrioni e non trasferirli subito, aspettando di trasferirli nei cicli successivi, quando nella donna non ci sono più in circolo gli ormoni che le sono stati somministrati per ottenere gli ovociti. In questo modo, si otterrà sicuramente un 10-15% di successo maggiore» spiega l’esperto. «Altre tecniche sono quelle della biopsia endometriale, che consiste nel prelevare un pezzettino di tessuto dell’endometrio nel ciclo precedente, o nello stesso ciclo, in cui si effettua il transfer. Tra le tecniche biologiche, invece, quelle della cultura degli embrioni allo stadio di blastocisti (che aumenta le percentuali di impianto) oppure l’analisi genetica dell’embrione, attraverso la quale si possono individuare gli embrioni sani da trasferire e verificare anche se ci sono delle incompatibilità genetiche tra l’uomo e la donna».
Fecondazione eterologa
La fecondazione eterologa si verifica, invece, quando il seme o l’ovulo provengono da un soggetto esterno alla coppia. Che esami e procedure si seguono in questi casi? «Per quanto riguarda la donazione di ovuli, si fa solo un controllo dell’endometrio. Se si ricorre alla donazione di un’ovocita giovane, infatti, la qualità dell’embrione si dà per scontata. Quello che bisogna monitorare è l’endometrio, ovvero l’organo che riceverà l’embrione eterologo: abbiamo a disposizione diversi farmaci e interventi di tipo strumentale per renderlo ottimale».
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