Sessualità

Dipendenza da videogame: i campanelli d’allarme

Le sette domande da farsi se un figlio passa troppo ore attaccato ai giochi sul computer: potrebbe essere un problema di assuefazione

Tra i primi sintomi ci sono la perdita di ore di sonno, la tendenza a isolarsi e l’incapacità di trovare la concentrazione. Poi subentrano un netto scadimento dei risultati scolastici, l’azzeramento della vita sociale e un generale peggioramento della salute.
Nel lungo periodo il rischio, nei ragazzi già predisposti, è quello di sviluppare una personalità compulsiva ripetitiva e problematiche psichiche che possono sfociare nello scollamento dalla realtà. Con la dipendenza da videogame, insomma, non si scherza.
«La fascia di età più a rischio è quella che va dai 10 ai 12 anni», spiega Massimo Clerici, docente di psichiatria presso l’Università di Milano Bicocca, «una fase critica nella quale gli adolescenti cominciano a sviluppare la propria identità autonoma e dunque a porre le basi per ciò che saranno in futuro».
Come le tossicodipendenze, anche la necessità di passare ore e ore davanti al pc o alla consolle comporta fenomeni di assuefazione e astinenza: si è costretti ad aumentare il tempo passato a giocare per trovare soddisfazione, mentre la lontananza dal monitor scatena sintomi psicofisici quali irrequietezza, malumore, pensieri ossessivi e incapacità di concentrarsi sulle altre attività.

Sette domande da farsi
In questi casi il ruolo dei genitori è fondamentale e delicatissimo. «Il dialogo dovrebbe essere il primo strumento per capire se c’è una situazione di rischio», continua Clerici, «ma dato che proprio a quell’età i ragazzi fanno fatica a comunicare con gli adulti, bisogna prestare attenzione all’insieme dei loro comportamenti».

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Il passare molte ore sui videogiochi non è di per sé indice di una dipendenza, soprattutto se l’accesso è frequente ma frammentato e non continuo.
Le domande che i genitori si devono porre sono semmai:
– Da quando si è scatenata la passione per i videogame mio figlio esce poco e mal volentieri?
– Ha abbandonato sport e hobby che praticava fuori casa?
– Ha cominciato ad andare male a scuola?
– È trasandato nel vestire e si prende sempre meno cura di sé e del proprio aspetto?
– Rimane sveglio fino a tardi per giocare?
– Quando non sta giocando pare assente e sembra pensare ad altro?
– Preferisce saltare i pasti piuttosto che interrompere una partita?
Una risposta affermativa ad almeno tre di queste domande è indice di quello che gli psichiatri chiamano cattivo funzionamento psicosociale che può essere causato proprio dalla videodipendenza.

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«A questo punto il genitore deve senz’altro intervenire», avverte Clerici, «stando però attento a non drammatizzare e, soprattutto, a non peggiorare il problema con misure drastiche come la negazione totale del videogioco. La regolamentazione è la strada migliore».
Un errore da evitare è quello di pianificare la vita dei figli con mille attività pur di tenerli lontani dallo schermo. «Il “menù esistenziale” riflette sempre il narcisismo dei genitori e, alla lunga, crea solo insoddisfazione e desiderio di fuga», spiega Clerici.

Meglio evitare il Sert
A chi rivolgersi se la situazione non migliora? «Al principio il pediatra è la persona giusta: per questo motivo bisogna scegliere un medico che sappia e voglia instaurare con il ragazzino un rapporto sincero», dice Clerici. In un secondo momento, se non ci sono segni di miglioramento, e proprio su consiglio attento del pediatra, ci si può rivolgere ad uno psicologo o ad uno psichiatra.
Grande cautela invece nell’affidarsi al Sert, il servizio pubblico dedicato alla cura delle dipendenze: «Sono ambienti dove il ragazzino verrebbe a contatto con persone affette da patologie della dipendenza molto gravi, elemento questo che potrebbe scatenare paure e processi di emulazione degli altri anche peggiori del problema che si cerca di risolvere», conclude Clerici.
Massimo Valz Gris – OK La salute prima di tutto

Ultimo aggiornamento: 8 novembre 2010

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