La vulvodinia è dolorosa, impedisce i rapporti sessuali ma anche una normale qualità della vita, visto che volte le donne che ne soffrono non riescono nemmeno a indossare un paio di jeans aderenti perché la pressione del tessuto sulla zona genitale provoca fastidio e appunto dolore (scopri qui quali sono gli altri sintomi con cui si manifesta). La malattia però si può e si deve curare come ci spiega Sara Grosso, medico chirurgo, specialista in ginecologia e ostetricia, sessuologo clinico, uroginecologo presso il Dipartimento di Urologia dell’Ospedale Pederzoli di Peschiera del Garda.
Come si cura la vulvodinia?
Per curare la vulvodinia bisogna agire sui principali meccanismi che la scatenano. Innanzitutto, è necessario spegnere l’infiammazione e risolvere le eventuali cause a monte (come, ad esempio, infezioni, alterazioni della microbiosi intestinale, stati di stitichezza) per ripristinare le difese a livello locale: per fare ciò, ci si può servire di gel a base di aliamidi o di verbascoside in grado di modulare i processi infiammatori, rispettando la flora batterica vaginale “buona” e magari potenziarla con l’assunzione di probiotici.
Il secondo step è lavorare in sinergia con i fisioterapisti per la riabilitazione del pavimento pelvico: è importante che la donna impari a rilassare i muscoli con l’auto-massaggio, utilizzando i gel per uso vulvovaginale, o con la tecnica terapeutica del biofeedback, che insegna alla paziente rilassamento del muscolo, o con lo stretching, sfruttando i dilatatori vaginali, o in estremis con le iniezioni di tossina botulinica (ma solo quando la tensione è molto forte e non la si risolve in altro modo).
Infine, bisogna occuparsi del dolore e a tal proposito possono essere prescritti farmaci come l’amitriptilina o degli anticonvulsivanti o si può optare per delle infiltrazioni locali con cortisonici o anestetici. Esiste anche la possibilità di eseguire un intervento chirurgico, cioè l’escissione del vestibolo, che toglie il “pezzettino” di vulva più infiammato: si tratta, però, di un’operazione sconsigliata perché l’eventuale formazione di cicatrici aggraverebbe il disturbo.
Quali sono i tempi di guarigione?
Da alcuni studi condotti sull’argomento, è emerso che dalla diagnosi alla guarigione passano in media dai 6 ai 9 mesi.
È possibile che una volta guarita la vulvodinia si possa ripresentare?
Sì, può ripresentarsi a causa degli stessi meccanismi che l’hanno scatenata la prima volta.
Esistono patologie correlate che possono portare alla vulvodinia?
Tutte le patologie in ambito ginecologico, urologico o proctologico possono scatenare la vulvodinia. Le patologie ginecologiche, come ad esempio le infezioni della vulva, la candida, il papilloma virus e l’herpes, possono comportare a lungo andare l’infiammazione cronica della mucosa vulvare, che a sua volta determina sia una contrattura di difesa della muscolatura del pavimento pelvico sia il rilascio di sostanze che stimolano la produzione di fibre nervose del dolore.
Questi tre meccanismi, cioè l‘infiammazione, la contrattura muscolare e la percezione aumentata del dolore per aumentate fibre nervose, “alimentano” e automantengono il dolore della vulvodinia. Anche le patologie urologiche, come le cistiti ricorrenti ( batteriche, interstiziale), possono scatenare la vulvodinia: questo avviene perché, oltre all’infiammazione locale, si verifica anche una contrattura “di difesa” dei muscoli del pavimento pelvico, causando un ipertono che determina un ridotto apporto di ossigeno alla mucosa genitale e un aumento di cataboliti tossici (cioè sostanze di scarto prodotte dall’organismo) che perpetuano l’infiammazione.
Alcune donne con vulvodinia in passato hanno sofferto di enuresi notturna, cioè la perdita involontaria di urina dovuta a una iperattività della muscolatura della vescica: in questo caso la patologia insorge perché queste persone hanno imparato a contrarre spasmodicamente i muscoli del pavimento pelvico per trattenere l’urina e questo ipertono della muscolatura è uno dei meccanismi che automantiene la vulvodinia.
Anche patologie proctologiche, come ragadi, emorroidi e incontinenza fecale, possono determinare questa contrattura di difesa associata poi alla vulvodinia.
Il 10% delle donne, nel corso della vita, sperimenterebbe i sintomi della vulvodinia. Il dato è elevato, tuttavia la malattia è ancora poco conosciuta. Come mai?
Da una parte c’è la tendenza della donna a non manifestare le problematiche intime legate alla sfera sessuale, dall’altra molti specialisti di urologia e ginecologia non si occupano di dolore sessuale. Bisogna ricordare, infatti, che in Italia lo studio della sessuologia è limitato ad alcune scuole a pagamento, l’albo dei sessuologi è privato e non esiste come professione a livello pubblico: di conseguenza, impara a trattare la patologia sessuologica solo chi afferisce a questo tipo di strutture. Ciò comporta scarsa conoscenza delle patologie correlate e quindi anche del dolore. Inoltre, in seno a questa disinformazione e a una visione distorta della figura femminile, spesso si tende a colpevolizzare la donna, accusandola di ingigantire il problema e di esasperarne i sintomi.
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