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Vulvodinia: nuovi trattamenti per il “dolore intimo”

Colpisce circa il 15% delle donne: i tempi per la diagnosi sono ancora molto lunghi, ma da poco sono disponibili un test genetico e una crema in grado di ridurre i sintomi

Nuovi trattamenti per la vulvodinia, che riescono ad affrontare questa malattia sempre meglio. Ci sono donne che trascorrono la maggior parte del tempo in casa, che hanno dovuto rinunciare al lavoro, a volte lasciate dal partner. Anni passati a cercare il medico giusto, a provare farmaci di ogni tipo e anche a sentirsi dire: «È tutto nella sua testa». Eppure il dolore esiste, e spesso è talmente forte da diventare invalidante.

Sono situazioni frequenti quando si ha a che fare con la vulvodinia, una malattia invisibile, poco conosciuta, ma più diffusa di quanto si pensi. Colpisce circa il 15% delle donne di tutte le età, con un picco tra i 20 e i 40 anni, ed è una di quelle patologie fantasma, perché ancora non riconosciuta nei livelli essenziali di assistenza, al pari di altre, come la fibromialgia.

Gruppo San Donato

Tutto questo si traduce in diagnosi che arrivano con ritardo, pochi centri di riferimento pubblici, spese sanitarie a carico delle pazienti. Qualcosa, però, si sta finalmente muovendo: sul mercato è stato immesso di recente il primo
prodotto topico che ha come specifica indicazione proprio la vulvodinia. Un passo in avanti significativo, così come la presentazione nel 2023 di un disegno di legge per riconoscere questa malattia come invalidante.

Difficile da diagnosticare

La vulvodinia è difficile da diagnosticare sia perché può manifestarsi in modo diverso da donna a
donna, sia perché l’aspetto esterno dei genitali appare normale, senza segni clinici visibili. «La vulvodinia è caratterizzata da dolore cronico, costante o ricorrente, che perdura da almeno tre mesi, localizzato all’intera vulva o solo a parti di essa. Le pazienti lo descrivono come una sensazione di bruciore, puntura di spilli, ipersensibilità, o come un peso o gonfiore», spiega Monia Marturano, uroginecologa del Policlinico Gemelli di Roma. «Può essere spontaneo, cioè quasi sempre presente senza alcun fattore scatenante, o provocato da uno stimolo, come indossare un paio di pantaloni, avere rapporti sessuali, utilizzare assorbenti interni, stare a lungo sedute».

Quali sono i fattori scatenanti?

I principali fattori scatenanti sono:

  • Genetici. Potrebbe esserci una predisposizione genetica nell’alterata regolazione dei meccanismi di controllo dell’infiammazione delle terminazioni nervose, ma non ci sono ancora evidenze scientifiche certe.
  • Infettivi. Esiste un’associazione tra vulvodinia e candida ricorrente: micosi genitali frequenti e mal trattate possono mantenere attivi i recettori dolorosi anche dopo la guarigione.
  • Ormonali. Sulla base dell’osservazione clinica e di alcuni studi si è evidenziata un’aumentata sensibilità al dolore in fase premestruale. Esisterebbe poi un effetto diretto dei contraccettivi a base ormonale che, assottigliando la mucosa, potrebbero rendere più superficiali i recettori del dolore.
  • Stress. L’attivazione emozionale dovuta a lunghi periodi di stress, di stanchezza così come tensioni psicologiche induce modificazioni del sistema endocrino e del sistema nervoso centrale e periferico.
  • Altri fattori. Alla base del problema anche traumi locali, dovuti per esempio al parto o a interventi chirurgici ginecologici. Oppure possono esserci condizioni di aumentato tono muscolare del pavimento pelvico.

Oltre quattro anni per ottenere una diagnosi

Ancora oggi, anche a causa della mancanza di una formazione specifica di molti specialisti su questa patologia, il tempo medio necessario per arrivare a una diagnosi è di quattro anni e mezzo. E un terzo delle donne consulta più di cinque specialisti prima di ottenere una risposta.

I parametri che possono indirizzare il ginecologo a una diagnosi di vulvodinia, come spiega l’esperta, sono:

  • la presenza del dolore vulvare da almeno tre-sei mesi;
  • l’assenza di prurito e secrezioni che possono far pensare a un’infezione;
  • il riscontro di organi genitali sani, privi di alterazioni o lesioni riconducibili ad altre patologie.

Il test pressorio

Dopo l’ispezione, il medico esegue un test pressorio che serve a valutare la presenza e la distribuzione del dolore. Con un bastoncino di cotone esercita una pressione su punti precisi della vulva: se la donna riferisce dolore (per misurare la sensazione dolorifica viene usata una scala di valori da 0 a 10, chiamata “scala visuale analogica” o Vas), ci si trova di fronte a vulvodinia.

Il nuovo test genetico

Sul fronte della diagnosi precoce oggi c’è un’arma in più: un test genetico, da poco disponibile in Italia. Si chiama SoReal ed è stato sviluppato dal Polo d’innovazione di genomica, genetica e biologia di Siena. Il prezzo è di 497 euro, non è un auto-test ma va eseguito in centri specializzati nel trattamento della patologia. L’esame valuta la predisposizione ad alterati livelli di molecole coinvolte nella sensibilità al dolore, sintomo predominante nella vulvodinia.

A chi rivolgersi

Dal momento che le cause sono diverse, anche il trattamento della vulvodinia è multidisciplinare. Gli specialisti coinvolti dovrebbero essere, oltre al ginecologo, l’ostetrica, il fisioterapista, lo psicoterapeuta e il sessuologo.

Perciò può essere utile affidarsi a un centro che si occupa in modo specifico di dolore pelvico, dove queste figure lavorano in collaborazione tra loro. In quasi tutte le Regioni sono stati istituiti ambulatori pubblici dedicati al dolore vulvare, anche se la maggior parte di questi centri rimane privata. Per avere delle indicazioni si può visitare il sito dell’Associazione italiana vulvodinia. Le cure prevedono approcci diversi, da quello farmacologico, alle terapie fisiche, dalle tecniche di rilassamento alle indicazioni alimentari: non esiste un percorso unico, ma solo individualizzato.

Nuovi trattamenti per la vulvodinia: il gel che riduce il dolore

Per quanto riguarda i farmaci, in prima battuta ci sono prodotti topici lenitivi in grado di ridurre l’infiammazione, a base di fitoestratti, acido ialuronico, vitamina E. Da circa un anno è disponibile un prodotto specifico per la vulvodinia, un gel a base di spermidina, una molecola che viene prodotta dall’organismo ed è presente in tutte le cellule del corpo.

A dimostrarne l’efficacia nel trattamento della patologia, uno studio condotto a dicembre 2023 su 26 pazienti dal professor Filippo Murina. L’intensità del dolore è migliorata del 76% mentre la percentuale di miglioramento
della dispareunia, cioè del fastidio provocato dai rapporti sessuali, è stata del 50%. La spermidina agisce grazie alle sua capacità di modulare la risposta infiammatoria e la trasmissione del dolore nel sistema nervoso centrale e periferico. Inoltre è in grado di promuovere la rigenerazione delle cellule epiteliali vaginali, contribuendo a migliorare lo spessore e l’elasticità dei tessuti vaginali.

Farmaci e psicoterapia

«Per quanto riguarda le terapie orali, si può ricorrere agli antidepressivi, in particolare quelli triciclici come l’amitriptilina, prescritti in dosi più basse rispetto a quelle utilizzate per la depressione», fa sapere l’esperta. «Agiscono modulando i livelli di alcuni neurotrasmettitori nel sistema nervoso, influenzando la trasmissione del segnale del dolore».

Un’altra categoria di farmaci utilizzati sono gli antiepilettici, come il gabapentin o il pregabalin, in grado di ridurre la velocità di progressione degli stimoli dolorosi.

Molto consigliata pure la psicoterapia cognitivo-comportamentale, anche di coppia: in questo modo si possono aiutare le donne ad affrontare la malattia e a ristabilire la relazione intima con il partner.

Terapie fisiche

C’è poi il capitolo delle terapie fisiche, utili soprattutto in presenza di un aumentato tono muscolare del pavimento pelvico. La contrazione continua sollecita le terminazioni nervose e come conseguenza si verificano danni ai tessuti muscolari, ai vasi sanguigni e ai nervi collocati nella zona vulvare. La fisioterapia aiuta a decontrarre la zona, grazie a esercizi – come quelli per la riabilitazione del pavimento pelvico –, massaggi e l’utilizzo di strumenti quali la radiofrequenza, il biofeedback e la stimolazione elettrica funzionale.

Radiofrequenza

Si basa sull’emissione di onde elettromagnetiche in grado di sviluppare energia termica all’interno dei tessuti cutanei. Il calore ha quattro effetti:

  1. rilassa la muscolatura;
  2. è antinfiammatorio;
  3. riattiva il microcircolo;
  4. migliora il trofismo dei tessuti perché stimola la produzione di collagene e fibre elastiche.

La radiofrequenza è spesso abbinata all’elettroporazione, in cui si utilizza un particolare tipo di corrente elettrica per aprire i pori nella membrana cellulare e veicolare al suo interno principi attivi, come il cannabidiolo. Si consiglia un ciclo di almeno sei sedute.

Biofeedback

Consiste in un apparecchio elettromedicale che rileva l’attività muscolare attraverso una sonda, proiettando su monitor un grafico che rappresenta tale attività emettendo un segnale uditivo. Questo feedback aiuta a migliorare la consapevolezza dei muscoli del pavimento pelvico e, con l’aiuto dell’operatore e poi autonomamente, la paziente impara a decontrarli. Le sessioni di biofeedback di solito durano 20-30 minuti.

Stimolazione elettrica funzionale (Tens)

Si tratta dell’applicazione di correnti elettriche a basso voltaggio attraverso degli elettrodi applicati in vari siti. Essendo la vulvodinia una sindrome dolorosa su base neuropatica, con questa terapia si possono “rieducare” le terminazioni nervose che lavorano in maniera anomala. Studi scientifici hanno dimostrato che questa tecnica può portare a una significativa riduzione del dolore. Per ottenere dei miglioramenti occorrono in genere tra le 20 e le 30 sessioni.

I benefici di gravidanza e parto

Per una donna affetta da vulvodinia il percorso verso la maternità è spesso molto difficoltoso. Già a partire dalle probabilità di concepimento, spesso ridotte a causa dell’impossibilità di avere rapporti sessuali. Un ostacolo che in molti casi costringe le coppie a ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. La letteratura scientifica disponibile a riguardo è ancora scarsa ma esistono dati, seppur parziali, incoraggianti.

Testo di Laura D’Orsi

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