«Negli ultimi decenni abbiamo assistito a una rivoluzione tecnologica
che ha permesso di riparare e sostituire le valvole cardiache in modo più efficace e meno invasivo». A parlare è Michele De Bonis, primario dell’unità di cardiochirurgia delle terapie avanzate e di ricerca
all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Oggi possiamo intervenire su un numero sempre più ampio di pazienti. Ovviamente non su tutti come vorrebbe farci credere “dottor Google” quando cerchiamo
informazioni su Internet. Ogni caso è a sé e va opportunamente valutato per ottenere i migliori risultati».
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Valvole cardiache: i nuovi materiali
L’innovazione nella ricerca dei materiali e nel campo del design biomedicale ha permesso di miniaturizzare i dispositivi. In questo modo li rende piccoli e flessibili da poter viaggiare nel corpo fino a
raggiungere il cuore attraverso una via mai battuta prima. È questa la peculiarità degli interventi percutanei. Sono operazioni che sono eseguite attraverso un sottile catetere che viene infilato nell’arteria femorale per poi risalire fino al cuore. Il tutto senza la necessità di aprire il torace, fermare il battito cardiaco e usare macchine per garantire la circolazione extracorporea del sangue.
Una clip per l’insufficienza mitralica
Agli inizi degli anni Novanta questo intervento pionieristico venne eseguito con la tradizionale chirurgia a cuore aperto. Nel 2003 è
stato realizzato per la prima volta con tecnica percutanea, impiantando una mollettina (chiamata Mitraclip) per legare i due lembi della valvola, proprio come aveva fatto quel primo punto di sutura cucito da Alfieri.
A differenza dell’intervento chirurgico tradizionale, quello transcatetere non permette di inserire l’anello che serve a stabilizzare la valvola riparata garantendone l’efficienza più a lungo.
Ciononostante la Mitraclip «ha rappresentato una svolta per quei pazienti che soffrono di insufficienza mitralica funzionale, cioè causata dallo scompenso cardiaco. In casi ben selezionati questa terapia può prolungare la vita dei pazienti e migliorarne la qualità, a patto però che il cuore non sia già troppo dilatato e affaticato», precisa De Bonis, che è anche professore associato di Chirurgia Cardiaca e Direttore della
Scuola di Specializzazione in Cardiochirurgia all’Università Vita-Salute San Raffaele.
Valvole cardiache: una margherita per la stenosi aortica
Per nostra fortuna, la rivoluzione dell’approccio percutaneo non si è limitata alla riparazione della valvola mitrale. Ha infatti cambiato anche la vita delle persone che soffrono di stenosi aortica. Lo conferma Alessandro Castiglioni, primario di cardiochirurgia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele. «Si tratta di una malattia che colpisce il 3-4% della popolazione dopo i 75 anni. A causarla è il restringimento o l’occlusione della valvola a semiluna che assicura il passaggio del sangue ricco di ossigeno dal ventricolo sinistro all’arteria aorta e quindi a tutto il corpo».
La sostituzione della valvola per via chirurgica «rappresenta ancora oggi l’intervento d’elezione. Purtroppo non può essere eseguita su tutti i pazienti. Il rischio operatorio può essere davvero proibitivo per persone molto anziane o con gravi patologie».
Valvole cardiache: cos’è la TAVI?
A dare loro una nuova chance ci pensa la TAVI, la procedura di impianto valvolare aortico transcatetere. La tecnica è stata messa a punto nel 2002 dal cardiologo francese Alain Cribier. Permette di entrare dall’arteria femorale con un sottile catetere, per poi raggiungere la valvola aortica difettosa e impiantare al suo interno una nuova valvola
biologica, che si fissa aprendosi come una margherita. I primi tentativi non produssero risultati particolarmente soddisfacenti. A mano a mano che la pratica dell’intervento è andata consolidandosi, gli eventi avversi si sono ridotti drasticamente e la TAVI è diventata una pratica molto più sicura. Oggi viene proposta anche ai novantenni, purché ancora in buone condizioni generali.
In cosa consiste questo tipo di intervento?
L’intervento è in anestesia locale, non richiede intubazione e rianimazione. Dopo cinque o sei giorni di ricovero permette in genere
di tornare a casa. Secondo gli ultimi dati della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), nel 2018 sono state fatte in Italia quasi 7.000 TAVI, pari a 114 procedure ogni milione di abitanti. Si tratta di un valore ben lontano dagli standard europei e della Germania in particolare, che vede un rapporto di 220 per milione.
La tecnica può ancora migliorare
Gli esperti riuniti all’ultimo congresso della Società italiana di cardiologia (SIC) a Roma hanno rilevato come ci sia un ampio margine di miglioramento. Nuovi studi dimostrano che la TAVI, in pazienti selezionati, inizia a offrire gli stessi risultati della chirurgia tradizionale anche nei più giovani e a basso rischio operatorio. Bisogna tuttavia attendere del tempo per capire se tale procedura sia duratura
come l’intervento standard. Inoltre questa tecnica ancora espone i pazienti a un rischio superiore rispetto alla chirurgia per la necessità di pace-maker post procedurali e per la presenza di insufficienza
paravalvolare.
La TAVI per i giovani pazienti
Se si affrontano interventi TAVI in pazienti giovani o con aspettativa di vita superiore a cinque-dieci anni bisogna quindi essere certi di limitare al minimo il rischio di impianto di pace-maker e di insufficienza aortica residua poiché entrambe le complicanze a lungo termine riducono la
sopravvivenza. Ciò significa che in un futuro non troppo lontano, se la tecnologia evolverà in senso positivo, si potrà evitare l’intervento cardiochirurgico a migliaia di giovani pazienti.
Valvole cardiache: prolungare la durata delle protesi
La vera incognita resta la durata delle protesi valvolari. Finora, nei
pazienti più giovani, venivano usate quelle meccaniche perché hanno una durata teoricamente illimitata. Questo accade anche se impongono l’assunzione di farmaci anticoagulanti vita natural durante, con tutti i disagi che ne conseguono. Le valvole biologiche, invece, liberano i pazienti da questa schiavitù. Col tempo però rischiano comunque di degenerare dovendo poi essere sostituite nuovamente. «Al momento non sappiamo quale sia la durata media di queste nuove protesi (TAVI) perché non ci sono follow-up adeguati rispetto alle protesi biologiche», afferma Castiglioni. «Una delle sfide più importanti che ci attendono in futuro sarà proprio quella di prolungarne la vita, visto che da qui a 20 anni la maggior parte degli interventi per stenosi aortica verrà probabilmente eseguita per via percutanea».
Al momento la TAVI solo per pazienti selezionati
Attualmente, quindi, la TAVI deve essere riservata a pazienti selezionati dopo discussione in Heart Team, tra cardiologo emodinamista e cardiochirurgo. Per raggiungere questo obiettivo, precisa Castiglioni, «si stanno sperimentando valvole realizzate con materiali resistenti ai processi di degenerazione fibrocalcifica a cui vanno incontro le protesi biologiche, ma non solo. Nei laboratori di ricerca si stanno sviluppando anche nuove tecniche di ingegneria tissutale per rivestire le protesi con cellule viventi del paziente stesso, in modo da essere molto simili alla valvole native e non andare incontro a fenomeni di deterioramento strutturale e funzionale».
Valvole cardiache: al San Raffaele è nato l’Heart Valve Center
All’Ospedale San Raffaele è nato l’Heart Valve Center, un centro interamente dedicato al trattamento e alla cura delle patologie che colpiscono le valvole cardiache. «È il primo in Italia dove tutto ruota intorno al paziente. La scelta terapeutica non è più affidata a un singolo specialista, bensì a un team multidisciplinare di esperti che lavorano in sinergia per trovare il migliore trattamento personalizzato»,
spiega Alessandro Castiglioni. Punta di diamante del centro è «la sala ibrida, dove si può fare sia la cardiochirurgia convenzionale sia quella transcatetere, a seconda delle necessità».
In questo modo si è più pronti ad affrontare qualsiasi evenienza.
«Se per esempio durante l’introduzione della protesi valvolare dovesse rompersi l’aorta è possibile intervenire subito chirurgicamente per salvare la vita al paziente. La cosa sarebbe più difficile se ci si trova invece in una normale sala di emodinamica e si è costretti a trasportare d’urgenza il malato in sala operatoria».
Valvole cardiache su misura per ogni paziente
Come abiti su misura. Anche le protesi della valvole cardiache possono essere personalizzate, a partire dalla Tac del cuore del paziente. Si chiama Tricento quella che riproduce la tricuspide, la valvola a tre
lembi che separa atrio e ventricolo destro. La prima in Italia è stata impiantata per via percutanea proprio all’Ospedale San Raffaele di Milano dall’équipe di Matteo Montorfano, direttore dell’unità di cardiologia
interventistica ed emodinamica. «La nostra soddisfazione risiede nel poter offrire al paziente una valida alternativa terapeutica anche per la valvola tricuspide», afferma Montorfano. «Se nel campo delle valvole
aortiche la soluzione percutanea (TAVI) è una scelta terapeutica consolidata da diversi anni, per l’insufficienza della tricuspide il trattamento chirurgico era l’unica possibilità. Oggi questa nuova protesi
realizzata su misura permette di curare anche i pazienti un tempo considerati inoperabili».
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