Il vaccino Sputnik V funziona o no? Perché c’è tutta questa perplessità intorno al vaccino russo? I primi problemi sono nati quando l’Istituto Gamaleja non aveva comunicato le analisi della prima e della seconda fase della sperimentazione. In più erano coinvolte poche persone. All’inizio di settembre però è cambiato l’atteggiamento e i dati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet. Diversi scienziati internazionali avevano espresso dubbi sulla veridicità dei numeri rilasciati dai colleghi russi. La stessa rivista ha però dedicato nuovo spazio al vaccino russo a febbraio, pubblicando nuovi dati che hanno confermato l’efficacia del 91,6% delle forme sintomatiche di Covid-19. Un’efficacia molto alta, del tutto simile ai sieri di Pfizer-BioNtech e di Moderna.
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Vaccino Sputnik V: come funziona?
A differenza dei due vaccini americani che si fondano sull’RNA, il vaccino Sputnik V è un vaccino tradizionale, come quello messo a punto da AstraZeneca e Johnson & Johnson. Si serve quindi di un virus vettore, come si fa generalmente per i vaccini da decenni. Attraverso virus disabilitati, inietta un’istruzione genetica nelle nostre cellule, in modo che si crei l’antigene che provoca la risposta immunitaria. Il virus utilizzato è l’adenovirus, che in genere causa un semplice raffreddore. Anche questo vaccino ha bisogno di due dosi, a distanza di tre settimana l’una dall’altra.
Quali sono gli altri pregi del vaccino russo?
Il vaccino russo quindi è efficace contro la malattia. Costa anche meno di Pfizer e Moderna – siamo intorno ai 16 euro – ma più di AstraZeneca che resta il più economico. Può però essere conservato e trasportato in un frigorifero normale, a differenza di Pfizer che necessita di dispositivi appositi.
Il limite della scarsa capacità di produzione
Ad oggi sono già oltre 50 i Paesi in giro per il mondo che hanno autorizzato il suo uso. Anche l’Unione europea sta pensando di approvarlo. L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha già avviato il processo di revisione continua degli studi, che tecnicamente si chiama “rolling review”. Sono diverse anche le aziende italiane che si stanno muovendo per produrlo anche sul territorio nazionale. Il lato fragile di questo vaccino è infatti la capacità produttiva delle dosi. Il Centro di Ricerca Gamaleja è appunto un centro di ricerca e non è attrezzato per produrre le milioni di dosi che servono.