Un farmaco per bloccare la resistenza dell’organismo alle terapie contro il tumore dell’ovaio e rendere questa patologia più curabile. È ciò su cui lavora da anni la ricercatrice Anna Bagnato insieme al suo team composto unicamente da donne e che, grazie al sostegno della Fondazione Airc, sta dando un contributo fondamentale al progresso della ricerca sul carcinoma ovarico. «L’Airc ha giocato e gioca tutt’ora un ruolo fondamentale nel mio percorso da ricercatore», spiega Bagnato. «Ha sostenuto la mia formazione con vari contratti di ricerca. I finanziamenti dei progetti da me diretti sono stati necessari per raggiungere importanti risultati scientifici, oltre che per la formazione dei brillanti giovani ricercatori».
L’impegno della Bagnato e della sua squadra, attiva al laboratorio di Modelli preclinici e nuovi agenti terapeutici dell’Istituto nazionale tumori Regina Elena di Roma, è infatti fondamentale dal momento che ogni anno in Italia il carcinoma ovarico colpisce circa 5.200 donne e, nel corso della vita, circa 1 donna su 3 è colpita da un tumore.
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Tumore dell’ovaio
Nonostante il cancro alle ovaie occupi il decimo posto tra tutti i tumori femminili (dati Airtum), è considerato ancora oggi uno dei “big killers”. L’elevata mortalità è attribuibile alla difficoltà a fare diagnosi precoci a causa di una sintomatologia aspecifica e tardiva e all’assenza di strategie di screening validate (eccetto per le donne con alterazioni dei geni Brca1 e Brca2).
«La diagnosi in fase avanzata rende il carcinoma ovarico un tumore particolarmente aggressivo, più resistente ai farmaci e metastatizzante» spiega Anna Bagnato. «Le migliori armi terapeutiche che abbiamo a disposizione oggi per contrastarlo sono la chemioterapia, a base di carboplatino e paclitaxel con l’aggiunta del farmaco antiangiogenetico bevacizumab, e una nuova classe di farmaci biologici chiamati Parp inibitori, come olaparib. Nonostante le cure efficaci, purtroppo nel 40% dei casi si verifica un’insorgenza di farmaco- resistenza».
Tumore dell’ovaio: le terapie
Le donne colpite da un cancro dell’ovaio, infatti, vengono sottoposte a intervento chirurgico. Ma la chirurgia non dà la certezza che il tumore non si ripresenti. Così dopo l’intervento è consigliata la chemioterapia, mentre la radioterapia non viene quasi mai impiegata se non a scopo palliativo per alcune sedi metastatiche. Per la terapie del cancro dell’ovaio in fase avanzata, invece, recentemente vengono utilizzati gli inibitori di Parp, che agiscono sui sistemi di riparazione del Dna. «Per ora, sottolinea l’esperta, l’immunoterapia non sembra essere il campo più promettente per il trattamento del tumore ovarico».
Tumore dell’ovaio: la resistenza ai farmaci
Le ricercatrici studiano da anni il meccanismo per cui si verifica la resistenza ai farmaci nel tumore ovarico e un metodo per bloccarlo. La “colpa” sarebbe dell’endotelina, una proteina secreta dalle cellule dell’endotelio, che rivestono la superficie interna dei vasi sanguigni, dei vasi linfatici e dalle cellule tumorali. «L’endotelina, legandosi al recettore presente sulla superficie delle cellule tumorali e sulle cellule endoteliali associate al tumore e su altri elementi del microambiente tumorale, crea una rete di segnali che permette alle cellule tumorali di non rispondere più al trattamento farmacologico» continua la ricercatrice Airc.
«Abbiamo individuato una molecola che riesce a bloccare la sequenza di segnali attivati dall’endotelina e le interazioni bi-direzionali tra il tumore e il microambiente tumorale, legandosi al recettore dell’endotelina. Questo è importante. Perché il meccanismo innescato dalla proteina, dopo aver attivato il suo recettore, a sua volta genera anche una maggiore produzione di endotelina. E così si crea un circuito che si autoalimenta».
Il farmaco studiato rientra nella categoria dei farmaci a bersaglio molecolare. Il suo nome è macitentan. «Tra l’altro è un medicinale già approvato per l’utilizzo in patologie non oncologiche. Cioè per il trattamento dell’ipertensione arteriosa polmonare. Quindi il vantaggio è che si tratterebbe di un riposizionamento del farmaco».
Tumore dell’ovaio: a che punto è la ricerca
Le ricercatrici lo stanno testando su modelli preclinici, chiamati anche organoidi o tumoroidi. Si tratta di riproduzioni in laboratorio con le medesime caratteristiche fenotipiche e molecolari della patologia che si sviluppa nel paziente. «Queste strutture tridimensionali sono importanti. Permettono di avere un modello reale e pertinente per studiare quale sarà la risposta alla terapia nel paziente». Lo studio attraverso l’utilizzo di modelli preclinici innovativi permette anche di avere tempi più rapidi per trasferire i risultati nella pratica clinica. Tuttavia, conclude l’esperta, «sono necessari ancora anni di ricerca prima che il macitentan sarà disponibile per migliorare l’efficacia delle cure contro il tumore ovarico».