Che cosa hanno in comune la tennista Serena Williams e i giocatori di basket Brandon Ingram, Chris Bosh e Mirza Teletovic? Ciò che unisce questi quattro giovani sportivi professionisti è la terribile esperienza dell’embolia polmonare, provocata dalla trombosi venosa profonda. «Quando in una vena si forma un trombo, cioè un coagulo di sangue, questo rilascia alcuni frammenti che entrano in circolo fino ad arrivare al polmone, causando embolia, o meglio tromboembolia, polmonare» interviene Lidia Rota Vender, presidente di ALT Onlus. In occasione della Giornata Nazionale per la Lotta alla Trombosi del 15 aprile, conosciamo meglio questa patologia.
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Trombosi venosa: chi colpisce
La trombosi venosa colpisce in media una persona su mille ogni anno. Il rischio può aumentare fino a dieci volte nei soggetti ultrasessantenni. Tuttavia può interessare anche le fasce più giovani della popolazione. Tra i 25 e i 30 anni, infatti, la trombosi colpisce una persona su diecimila. Può sembrare un numero modesto, ma negli ultimi anni sta continuando a crescere.
Sintomi
La trombosi venosa è silente quasi nella metà dei casi. Può iniziare da vene piccole, come quelle del piede o del polpaccio, per poi estendersi a vene più grandi, come le femorali e le iliache nella coscia. «Può provocare sintomi importanti come pelle calda e arrossata, gonfiore, dolore e incapacità di utilizzare l’arto», spiega Roberto Chiesa, primario di chirurgia vascolare dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano. In casi più rari, continua l’esperto, la trombosi si può verificare anche nelle braccia. Questo accade nelle persone che per lavoro sollecitano molto la muscolatura della spalla, negli atleti, nei vogatori e negli appassionati di sollevamento pesi.
Cause
Negli sportivi possono giocare un ruolo la disidratazione, il consumo eccessivo di proteine e ovviamente l’assunzione di sostanze anabolizzanti e steroidee che favoriscono la coagulazione del sangue. Questi fattori possono rivelarsi molto pericolosi per chi ha una predisposizione alla trombosi. «Ad esempio, i portatori di mutazioni genetiche che alterano la coagulazione del sangue e quei soggetti che presentano un difetto anatomico responsabile della compressione della vena iliaca comune sinistra, una condizione piuttosto rara nota con il nome di sindrome di May-Thurner». In questi casi può bastare una semplice «scintilla» per innescare il processo di coagulazione che scatena la trombosi. «Ad accenderla possono essere anche altri fattori di rischio, come l’obesità, l’immobilità prolungata dopo un trauma o un intervento chirurgico, la chemioterapia, l’assunzione della pillola anticoncezionale o la gravidanza», aggiunge l’esperto.
Diagnosi
Quando il problema si manifesta è meglio non indugiare e rivolgersi appena possibile al medico. «Se il trombo si forma negli arti, soprattutto nelle vene iliache, può essere molto pericoloso e perfino fatale, perché può distaccarsi iniziando a circolare nel sangue: se arriva al polmone, chiudendo uno o più rami di un’arteria, può causare embolia e arresto cardiaco», ammonisce Chiesa. Una volta localizzato il problema con l’ausilio di un ecocolordoppler, e fatti gli esami del sangue per verificare l’eventuale presenza di mutazioni dei fattori della coagulazione, si comincia subito una terapia mirata per aggredire il trombo.
Vecchi e nuovi anticoagulanti
«Le linee guida internazionali raccomandano nelle prime fasi l’uso di farmaci anticoagulanti sottocutanei, come l’eparina a basso peso molecolare, che inizia a sciogliere il coagulo prevenendone il distacco», spiega Domenico Baccellieri, responsabile Vein Center – Unità di chirurgia vascolare dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano. «In seconda battuta si utilizzano i nuovi farmaci anticoagulanti orali (NAO): oggi abbiamo a disposizione quattro molecole molto efficaci, ovvero rivaroxaban, apixaban, edoxaban e dabigatran». I loro nomi suonano all’orecchio come formule magiche, ma i loro benefici sono tutt’altro che immaginari. «Avendo un meccanismo d’azione diverso rispetto ai vecchi anticoagulanti come il warfarin, risultano più stabili, possono essere assunti con qualsiasi alimento e comportano un minor rischio di sanguinamento, cosa che permette di diradare i controlli che un tempo erano molto più serrati», sottolinea Baccellieri.
La tromboaspirazione
Per ripulire il vaso ostruito, però, si può anche ricorrere alla tromboaspirazione. È un intervento mininvasivo eseguito per via percutanea entrando con un piccolo catetere nella vena che si trova più in basso rispetto al trombo. «Questa procedura in certi casi può anche essere risolutiva, ma non è adatta a tutti», ammonisce il chirurgo vascolare. «Si può eseguire solo se il paziente è a basso rischio di sanguinamento ed è al suo primo episodio di trombosi, se il problema si è manifestato da pochissimi giorni e ha colpito un asse venoso prossimale come quello femoro-iliaco-cavale».
Se si interviene entro le prime 48 ore, quando il coagulo di sangue è ancora «fresco» e «morbido», si può procedere alla rimozione con un’aspirazione puramente meccanica. Se invece si interviene dopo le 48 ore, quando il «tappo» diventa più viscoso e adeso alle pareti della vena, allora bisogna ricorrere a un aiutino: attraverso il catetere, spiega Baccellieri, «si rilascia nella vena un farmaco trombolitico che inizia a sciogliere il coagulo e dopo circa 20 minuti si procede a rimuovere i residui con l’aspirazione meccanica».
In alcuni casi si impianta uno stent
Ci sono buone speranze anche per chi lotta con i sintomi invalidanti di una trombosi cronica ormai stabilizzata da anni. In molti casi è possibile ricanalizzare il vaso ostruito (cioè riaprirlo) impiantando uno stent. Si tratta di una piccola gabbia metallica che dilata il trombo schiacciandolo contro le pareti della vena. Così permette nuovamente il passaggio del sangue. Le complicanze legate all’intervento sono basse e i risultati ottimi.
La paziente che è diventata mamma
Un fiocco azzurro alla porta e tanta gioia nel cuore. Si è conclusa con un lieto fine la storia di Cristina, parrucchiera 29enne di Foligno. La ragazza è riuscita a dare alla luce il suo piccolo Lorenzo nonostante una trombosi alla gamba. La gravidanza si era complicata fin dai primi mesi. La donna aveva dovuto sottoporsi a un delicatissimo intervento per un aneurisma cerebrale con alto rischio di emorragia.
Dopo l’operazione, tutto sembrava filare liscio. Poi una trombosi a una gamba ha cambiato il quadro clinico. I medici hanno optato per una terapia con eparina e programmato un parto indotto. Il farmaco anticoagulante infatti dev’essere sospeso almeno 24 ore prima. Il travaglio è durato più di un giorno e mezzo. Nel pomeriggio del 13 agosto, è venuto alla luce Lorenzo. Un fagottino di tre chili e 700 grammi che in un colpo solo ha spazzato via mesi di sofferenze e preoccupazioni.
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