L’infertilità è una patologia sempre più diffusa: riguarda circa 1 persona su 6 nel mondo e il 15% delle coppie in Italia. Come emerso durante la conferenza stampa di IBSA, alla quale hanno partecipato numerosi esperti in materia, questi numeri mettono in luce l’importanza di garantire terapie accessibili e di alta qualità a chi ne ha bisogno. Ecco perché un approccio personalizzato alla stimolazione ovarica, primo passo nel percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA), può contribuire a fare la differenza per l’esito dei trattamenti.
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La stimolazione ovarica nella PMA
Secondo il Rapporto sull’andamento delle nascite dell’Ufficio Statistica del Ministero della Salute, dal 2012 al 2022 l’utilizzo delle tecniche di PMA è salito del 73%. Nel 2022, ogni 100 gravidanze ci sono stati 3,7 parti con PMA. In particolare, la fecondazione in vitro con trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET) si conferma la tecnica più utilizzata, passando dal 37% al 48% in dieci anni.
La stimolazione ovarica rappresenta uno step importante nel percorso della PMA. Questa fase, che dura in media 15 giorni, prevede l’iniezione sottocute delle gonadotropine. Si tratta di ormoni, fisiologicamente secreti dall’ipofisi, che regolano le funzioni riproduttive degli organi genitali maschili e femminili. L’obiettivo della stimolazione è aumentare la produzione di follicoli maturi durante un ciclo ovarico per raccogliere un numero adeguato di cellule uovo, che possono poi essere fecondate in laboratorio con gli spermatozoi del partner o di un donatore esterno.
Stimolazione ovarica e PMA: l’importanza di un approccio personalizzato
«La varietà dei prodotti a base di gonadotropine oggi disponibili consente di effettuare protocolli di trattamento altamente personalizzati, massimizzando i risultati clinici e minimizzando i rischi», ha commentato Adolfo Allegra, Presidente nazionale di CECOS Italia (Centri conservazione ovociti e spermatozoi).
«Le nuove formulazioni versatili nelle modalità di somministrazione rispondono ad un’esigenza molto sentita da parte delle donne, di poter disporre di terapie facili da maneggiare e autosomministrarsi, aumentando l’aderenza al trattamento. Oltre ad offrire la possibilità di calibrare precisamente il dosaggio del farmaco sulla base delle specifiche esigenze di ciascuna paziente».
Le gonadotropine sono sicure?
Le gonadotropine sono impiegate nei trattamenti di PMA già dagli anni ‘80. Da allora, l’avanzamento tecnologico ne ha migliorato sempre di più i processi di produzione, per garantire un elevato grado di purezza e affidabilità. «In generale, i farmaci a base di gonadotropine di nuova generazione hanno un profilo di efficacia e sicurezza molto solido», prosegue Allegra.
«Non ci sono evidenze scientifiche definitive che dimostrino un collegamento diretto tra l’uso di questi farmaci e un aumento del rischio di cancro. Né sono stati riportati effetti a distanza di tempo collegati all’aumento del rischio di insorgenza di altre malattie o di interazione con l’andamento di patologie preesistenti, in maniera diversa da quella a cui è esposta normalmente la donna in gravidanza».
«Il rischio maggiore è rappresentato dalla sindrome da iperstimolazione ovarica (OHSS) che, tuttavia, era più frequente in passato. Mentre oggi rappresenta una complicanza molto rara grazie alla possibilità di costruire protocolli terapeutici “su misura” per ogni paziente, in base a specifiche caratteristiche ormonali, oltre a fattori come età, peso e riserva ovarica».
Stimolazione ovarica e PMA: quali fattori possono incidere?
Ci sono diversi fattori che possono incidere sulla risposta ovarica alla stimolazione. «Oltre all’età della donna va considerata la sua riserva ovarica, ovvero il numero di ovociti ancora immaturi presenti nelle ovaie, che diminuisce in funzione dell’avanzare degli anni ma che può essere influenzata anche da altri elementi», spiega Paola Anserini, Presidente della Società Italiana di Fertilità, Sterilità e Medicina della Riproduzione (SIFES-MR).
«Altri fattori da considerare nella valutazione della fertilità della donna includono anche l’indice di massa corporea e la risposta a cicli precedenti di stimolazione ovarica. Così come la causa di infertilità e la sua durata che possono influenzare l’esito dei trattamenti».
L’introduzione della PMA nei LEA
Prossimamente, le procedure di PMA entreranno anche a far parte dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). «L’integrazione delle tecniche di PMA nei LEA è un passo avanti fondamentale per garantire l’accesso equo a tutte le coppie con problemi di fertilità in cerca di un figlio, indipendentemente dalla Regione di residenza», evidenzia Luca Mencaglia, Presidente Fondazione PMA.
«Purtroppo, è notizia recente che l’entrata in vigore del nuovo tariffario LEA è slittata ulteriormente a gennaio 2025. Rinvio che pesa in particolare nell’ambito della medicina della riproduzione, dove il fattore tempo gioca un ruolo cruciale sulla probabilità di successo dei trattamenti. Almeno per quelle coppie che si avvicinano a questi percorsi già in età avanzata».
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