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Di cosa si tratta
Dal 2009, nella letteratura scientifica non si parla più di spondiloartrite anchilosante, ma di spondiloartrite sieronegativa a prevalenza assiale. Si tratta di una malattia infiammatoria e autoimmune che interessa prevalentemente la colonna vertebrale, causata da più patologie con confini spesso poco distinti, tanto da rendere a volte difficile la diagnosi tra una forma e l’altra. La spondiloartrite, infatti, si può presentare in tanti modi, collegandosi alla psoriasi, alle malattie infiammatorie intestinali, all’aftosi orale o genitale, alla malattia di Behçet, che si manifesta anche con uveiti e un coinvolgimento del derma e vascolare. Di spondiloartrite assiale soffre lo 0,1-2,5% della popolazione, prevalentemente uomini tra i 20 e i 40 anni d’età.
Cause
Si pensa che la causa ricada in un meccanismo reattivo tra alcuni antigeni di superficie dei batteri Gram negativi e alcune parti della membrana cellulare, ma ci sono ancora studi in corso. C’è poi una predisposizione genetica: l’antigene HLA B27 è presente nell’8-10% della popolazione e si può collegare alla propensione ad ammalarsi di forme cosiddette sieronegative.
Sintomi
La sintomatologia caratteristica è quella di una lombalgia infiammatoria, che si manifesta a riposo nella seconda parte della notte o la mattina al risveglio, rendendo difficile la ripresa della mobilità. La rigidità alla colonna si accompagna a un dolore ai glutei, detto anche «sciatica mozza» perché il dolore – simile a quello della sciatalgia – si irradia dalla natica fino a non oltre metà della coscia. Un altro dei sintomi caratteristici è la talalgia, il dolore ai calcagni che non consente di flettere il piede. Le diverse forme di spondiloartrite assiale, però, possono interessare anche altre articolazioni del corpo.
Diagnosi
La diagnosi precoce è fondamentale, per intervenire il più tempestivamente possibile sui sintomi che limitano molto la qualità della vita. Decenni addietro questa malattia veniva spesso scambiata con altre patologie; oggi, invece, grazie alla presenza di più specialisti reumatologi sul territorio e a criteri più precisi di valutazione, si fa diagnosi con maggiore certezza. Se la persona è giovane, e se all’anamnesi e all’esame obiettivo si sospetta una sacroileite, è indispensabile effettuare indagini ematiche e una risonanza magnetica. I valori del sangue che si vanno a cercare sono l’antigene HLA B27 e la PCR (la proteina C reattiva) che è prodotta dal fegato in seguito a un’infiammazione ed è spesso l’unico marcatore di flogosi presente nelle spondiloartriti. Il segno di imaging caratteristico di un interessamento articolare è l’edema della spongiosa ossea, che conferma la natura infiammatoria della malattia.
Terapie
Rispetto ad altre patologie autoimmuni, i corticosteroidi difficilmente leniscono i sintomi. Si utilizzano gli antinfiammatori non steroidei (Fans), e i bisfosfonati che inibiscono il riassorbimento osseo: la risposta, in prima battuta, è di solito positiva. A distanza di qualche mese, però, si devono sostituire i Fans con farmaci antireumatici in grado di modificare la malattia, con i biotecnologici, o i biologici di nuova generazione, come gli anti-TNF, o gli anti interleuchina 17 o 12/23. Si consiglia inoltre di fare una moderata e costante attività fisica, dal momento che la sintomatologia peggiora quando si sta fermi, e di tenere sotto controllo il peso: alcuni farmaci possono dare minore risposta terapeutica negli obesi, mentre le cellule del grasso partecipano (aggravandolo) al processo infiammatorio.
Focus a cura di Stefano Stisi, responsabile della reumatologia dell’Azienda ospedaliera Gaetano Rummo di Benevento e presidente del Collegio dei reumatologi italiani.
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