Sulla sindrome di Rett ci sono ancora molte domande aperte ma è pressoché unanime che nella malattia sia coinvolta una mutazione del gene MECP2 che esprime la relativa proteina. Fino ad oggi i meccanismi attraverso cui questa disfunzione causa la regressione delle capacità motorie e intellettive dei malati non erano del tutto noti. A fare un po’ di chiarezza arriva ora uno studio pubblicato su Science e condotto al Baylor College of Medicine e del Texas Children’s Hospital.
Grazie al loro studio si è infatti data risposta ad una domanda aperta da tempo, cioè se il neurone ne avesse bisogno per sempre oppure se fosse sufficiente che questa fosse presente nel periodo dello sviluppo e se ne potesse poi fare a meno nell’età adulta. La risposta sembrerebbe ora essere che il neurone ne ha un bisogno costante per tutta la sua esistenza e, se glie la si sottrae, si trova esattamente nelle stesse condizioni del neurone che non l’ha mai avuta.
Questo è stato dimostrato facendo un esperimento su dei topi geneticamente modificati in modo da poter sottrarre la proteina: quelli a cui è stata sottratta hanno sviluppato gli stessi sintomi di quelli che erano stati fatti nascere senza, tra cui anche movimenti tipici delle zampe, simili al movimento che le bambine affette dalla sindrome di Rett fanno con le mani. I topi nati senza la proteina, inoltre, sono morti circa dopo 13 settimane, mentre quelli a cui sono stati sottratti, similmente, sono morti circa dopo 13 settimane dall’eliminazione.
Ciò implica anche che, come hanno sottolineato gli stessi ricercatori, se si potesse rimettere la proteina la dove manca e dove dunque ce ne sarebbe bisogno, si potrebbe evitare il malfunzionamento dei neuroni. Questo però sarà possibile solo quando si sarà esattamente capito come questa proteina agisce nella cellula e quando ci sarà dunque la capacità, conoscendone i meccanismo di funzionamento, di darne la quantità ottimale ai pazienti.