Una proteina che dice tutto – o quasi – sullo scompenso cardiaco. A individuarla una ricerca del Centro Cardiologico Monzino e Università Statale di Milano. È rilasciata dai polmoni e si chiama proteina del surfattante polmonare B, in breve SP-B. Indica la presenza di scompenso cardiaco e ne predice la prognosi, ma soprattutto è responsabile dell’aggravarsi della malattia, che è una delle prime cause di ricovero nelle popolazione over 65 anni. Ma non sono solo gli anziani ad esserne colpiti: lo scompenso cardiaco interessa anche i giovani, soprattutto quelli esposti ai comportamenti a rischio o che hanno avuto infezioni mal curate che hanno indebolito il cuore.
Lo studio
Lo studio è stato condotto da Piergiuseppe Agostoni, professore Ordinario di Cardiologia dell’Università degli Studi di Milano e coordinatore dell’area di Cardiologia Critica del Centro Cardiologico Monzino, e Cristina Banfi, responsabile dell’Unità di ricerca di Proteomica Cardiovascolare del Centro Cardiologico Monzino. È stato pubblicato sull’ultimo numero dell’International Journal of Cardiology. Il nuovo obiettivo dei ricercatori è ora sviluppare un esame che, misurando il valore di SP-B nel sangue, renda possibile delle diagnosi di scompenso cardiaco più precise ed efficaci.
Cos’è lo scompenso cardiaco?
È una sindrome a causa della quale il cuore non è in grado di pompare a sufficienza il sangue, creando uno stato di insufficienza circolatoria. Scopri qui come riconoscerlo attraverso i principali campanelli d’allarme.
La proteina trasforma il colesterolo buono in cattivo
«I nostri studi – spiega la ricercatrice Banfi – evidenziano che SP-B non è presente nel soggetto sano, si manifesta nei pazienti con scompenso cardiaco quando c’è un danno ai polmoni. In particolare abbiamo riscontrato che maggiore è il valore di SP-B nel sangue, peggiore è la prognosi dello scompenso. Ma c’è di più: abbiamo anche scoperto che SP-B si lega in modo selettivo al colesterolo HDL, il cosiddetto “colesterolo buono”, e lo rende disfunzionale, trasformando le HDL da molecole protettive per l’organismo a molecole nocive». In che modo? L’esperta spiega che «le lipoproteine antiaterogene, cioè protettive che costituiscono il colesterolo HDL, legandosi a SP-B per via della loro composizione affine, subiscono modificazioni a carico della loro struttura che ne riducono le proprietà antiossidanti, e dunque protettive. Trasformandosi diventano quindi molecole nocive (aterogene) e contribuiscono così alla progressione della patologia cardiaca». Per un approfondimento sullo scompenso cardiaco leggi questo articolo.
Perché è importante questa scoperta?
«Questo studio ha contribuito a scardinare un dogma centrale dell’aterosclerosi, che vedeva nel colesterolo HDL un fattore protettivo. Ha messo in evidenza come anch’esso può andare incontro a cambiamenti deleteri» afferma Agostoni. «La nostra ricerca è il tassello più recente di una lunga serie di pubblicazioni sulla proteina che portiamo avanti da anni e sanciscono l’importanza di questa molecola come marcatore di scompenso cardiaco e della sua prognosi. È un aspetto cruciale perché nella pratica clinica, ad oggi, non esistono ancora veri marcatori plasmatici dello scompenso. La diagnosi viene formulata con test funzionali, come il test da sforzo, che non sempre possono essere proposti a pazienti anziani e gravemente compromessi. Inoltre, essendo lo scompenso cardiaco una malattia multifattoriale, è difficoltoso trovare un elemento che la definisca e ci permetta di giungere a una diagnosi tempestiva ed efficace. Per tutte queste ragioni – conclude il professore – un test specifico che si possa eseguire sui campioni di sangue rappresenterebbe una svolta».
Il prossimo step: affinare la diagnosi
I ricercatori dell’Unità di Proteomica del Centro Cardiologico Monzino sono ora già al lavoro per il prossimo obiettivo. Vorrebbero sviluppare una tecnologia moderna per la misurazione precisa della proteina nei pazienti con scompenso cardiaco allo scopo di sviluppare un dosaggio diagnostico.
Il Centro Cardiologico Monzino ha infatti studiato negli anni l’andamento del SP-B in diversi contesti, sia fisiologici – ad esempio nei sommozzatori o negli alpinisti in alta quota, situazioni in cui la scarsità di ossigeno simula le condizioni di scompenso cardiaco – sia in contesti patologici, per esempio nei portatori di bypass, nelle persone con aneurisma dell’aorta addominale o altre patologie cardiovascolari. Tutti studi che hanno avvalorato l’utilizzo del SP-B come marcatore per seguire l’evoluzione dello scompenso cardiaco e ottimizzare la terapia.
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