A una «pancia grassa» corrisponde un «cuore grasso». Ma un eccesso di tessuto adiposo epicardico (così si chiama il grasso che ricopre le coronarie e il cuore) ha effetti dannosi sulla salute cardiaca. Modifica il metabolismo del cuore, ne altera la struttura e la mobilità, danneggiando la funzione della pompa cardiaca e aumentando il rischio di scompenso cardiaco. Ma favorisce anche l’aterosclerosi, peggiora il microcircolo sanguigno, esponenendo all’insorgenza di ischemie. Infine può anche infiltrare la parete del muscolo del cuore, generando potenziali anomalie nel battito. Il «cuore grasso» è tipico dei soggetti con obesità viscerale-addominale.
In questo articolo
Quali sono i sintomi del cuore grasso?
I sintomi tipici del cuore ingrossato sono:
- palpitazioni,
- dispnea, quindi difficoltà di respiro,
- astenia,
- edemi periferici,
- aritmie,
- dolore toracico,
- scompenso circolatorio, che se grave e progressivo può spingere verso un trapianto cardiaco.
Farmaci per il trattamento del diabete riducono grasso intorno al cuore
Ora, uno studio pubblicato sull’International Journal of Cardiology, ha rilevato che i farmaci usati nel trattamento del diabete di tipo II e dell’obesità sono in grado di ridurre questo grasso, con effetti cardiovascolari benefici. Lo studio ha visto la collaborazione dei ricercatori del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università degli Studi di Milano e dell’IRCCS Policlinico San Donato.
Quando il tessuto adiposo è normale, è buono
Anche perché il tessuto adiposo epicardico, in condizioni normali (cioè quando costituisce circa il 20% del peso cardiaco totale), rappresenta la principale riserva energetica del cuore. Ma c’è di più. Lo protegge, sia con un’azione termogenica, sia con un’azione strutturale. Fa in modo cioè che la temperatura del muscolo cardiaco sia sempre ottimale e che le coronarie rimangano stabilmente nella loro sede quando la frequenza del battito aumenta.
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Il «cuore grasso» come bersaglio di terapie
«Da diversi anni abbiamo concentrato le ricerche del nostro gruppo su EAT (Epicardial Adipose Tissue, ndr) e il suo ruolo nelle malattie cardiovascolari. Sappiamo che l’eccesso di grasso epicardico genera un’azione infiammatoria direttamente sulle pareti delle arterie coronarie e sul muscolo cardiaco. Questa funzione pro-infiammatoria del grasso è un predittore indipendente di coronaropatia e di rischio metabolico. Questo nuovo lavoro, però, oltre a confermarne il ruolo di importante fattore di rischio, apre la strada alla considerazione di EAT come un vero e proprio target terapeutico su cui in futuro si potrà agire direttamente». Il dottor Alexis Elias Malavazos è responsabile del Centro di Dietetica, Educazione Alimentare e Prevenzione Cardiometabolica dell’IRCCS Policlinico San Donato.
Farmaci che imitano gli ormoni
Durante lo studio è stato osservato che i farmaci oggi comunemente impiegati nella terapia del diabete e dell’obesità (medicinali incretino-mimetici) “mimano” l’azione delle incretine. Si trattano degli ormoni che, normalmente prodotti dall’intestino, stimolano il pancreas a produrre insulina e abbassano il glucosio nel sangue.
L’effetto della terapia sui pazienti
Così, i pazienti diabetici e obesi in terapia con gli incretino-mimetici presentano una riduzione molto importante dello spessore del grasso cardiaco (fino al 36%). Riduzione non correlata alla perdita di peso complessivo e al miglioramento del controllo del glucosio. Da qui l’idea che potesse esserci un’azione diretta dei farmaci a livello di EAT.
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Come agiscono i farmaci sul grasso cardiaco?
«Abbiamo studiato campioni di EAT prelevato da pazienti affetti da patologia coronarica sottoposti a intervento chirurgico di bypass. Abbiamo riscontrato che EAT esprime una molecola specifica (GLP-1R) che funziona da recettore per le incretine. I livelli di questa molecola sono associati a dei geni che riducono la creazione di nuovo grasso (adipogenesi). Ma in più promuovono l’ossidazione degli acidi grassi e il differenziamento delle cellule grasse da bianche a brune. In questo modo favoriscono il dispendio energetico e la perdita di grasso. Attraverso l’azione su EAT deriva quindi un’importante funzione protettiva a livello del cuore». Elena Dozio è ricercatrice di Patologia clinica al Dipartimento di Scienze biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano.
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