Se ne parla soprattutto a seguito di fatti di cronaca saliti alla ribalta sui media, ma che cosa è la schizofrenia? Quando esordisce e quali sono i risvolti clinici e sociali di questa malattia che spesso genera paura e disinformazione? Abbiamo affrontato l’argomento con l’esperto di Ok Alessandro Rossi, professore di psichiatria e psicologia clinica presso l’Università de l’Aquila. Dirige l’unità operativa di Psichiatria dell’Ospedale S. Salvatore de L’Aquila (puoi chiedergli un consulto qui).
In questo articolo
Schizofrenia: che cos’è?
La schizofrenia è un disturbo mentale grave che colpisce circa l’1 per cento della popolazione. È un disturbo catalogato come “grave” perché esordisce precocemente, colpisce persone giovani, tra i 18 e i 25 anni, e dunque ha un decorso molto lungo, che durerà nel tempo. Tendenzialmente colpisce più gli uomini delle donne, con un rapporto di due a uno e con maggiore gravità.
La caratteristica tipica della schizofrenia è che la persona affetta ha scarsa consapevolezza del disturbo. Il soggetto può percepire che il mondo intorno a lui è cambiato, ma non ha coscienza della malattia. Vista l’insorgenza precoce, che coincide con il periodo adolescenziale, spesso non è facile riconoscerne i sintomi che alle volte vengono scambiati per depressione, o abuso di droghe. Il ruolo degli insegnanti e dei famigliari è fondamentale nel notare alterazioni bizzarre del comportamento che possono essere tipiche della schizofrenia.
Quali sono i sintomi
I sintomi caratteristici e conclamati sono il delirio e le allucinazioni, che sono disturbi del contenuto del pensiero e della percezione. Le persone affette da deliri possono avere delle errate convinzioni: possono sentirsi perseguitate, minacciate e comportarsi di conseguenza in maniera aggressiva perché hanno paura che gli si voglia fare del male. Le allucinazioni sono disturbi della percezione, chi ne soffre ha erronee sensazioni di sentire voci o vedere persone e immagini che non esistono nella realtà. Si ha una percezione, ma senza l’oggetto.
Questi sintomi sono spesso preceduti da alterazioni più subdole del comportamento, da “sintomi negativi” come un ritiro sociale e un isolamento, un distacco dal mondo. O anche nuovi comportamenti stravaganti come l’abbigliamento o l’interesse verso materie, come ad esempio l’astronomia, la filosofia, l’esoterismo che sono sintomo di distacco dalla realtà. Questa fase, denominata periodo prodromico, è delicata e dura circa due o tre anni prima dell’insorgenza dei sintomi conclamati.
Come mai ci si ammala
Non esiste una causa specifica ma numerosi fattori di rischi che interagiscono tra loro. Tra questi la familiarità, ad esempio se un parente di primo grado è affetto dallo stesso disturbo, oppure l’abuso di sostanze. L’abuso di droghe, in particolare di quelle psicotrope come cocaina e Ketamina, può rappresentare un rischio ulteriore a sviluppare la malattia conclamata e può peggiorare il quadro clinico di un soggetto predisposto alla schizofrenia. La genetica e l’ambiente famigliare e culturale in cui si vive possono facilitarne l’insorgenza, ma non è scontato che accada.
Schizofrenia e gli altri
Il problema della violenza è delicato. È il soggetto schizofrenico, il più delle volte, a subire violenza. Questa malattia, se ben curata e monitorata, è compatibile con livelli di autonomia sufficienti per vivere in famiglia e nella comunità. Ma deve essere un modello di cura condivisa sia dal soggetto sia dai suoi famigliari.
La schizofrenia è associata a un elevato isolamento e di stigma. A questo proposito il soggetto e i suoi famigliari non devono tenere nascosto ma cercare serenamente aiuto presso i Dipartimenti di Salute Mentale.
Come si cura
Intervenire precocemente può cambiare la prognosi. Quando le modificazioni comportamentali e l’isolamento sociale diventano eccessivi, bisogna rivolgersi al medico di famiglia che valuterà i sintomi e nel caso prenderà contatto con il centro di salute mentale della Asl di appartenenza.
La fase acuta della malattia va trattata farmacologicamente e oggi ci sono farmaci innovativi, come ad esempio i long acting che si assumono una volta al mese o ogni 15 giorni. Alla fase farmacologica seguono poi i trattamenti psicologici e psicosociali di tipo riabilitativo. Il trattamento deve essere a lungo termine e valutato in base al miglioramento. La presenza di sintomi anche minimi indica che si deve continuare la cura. Il 30 per cento dei soggetti ha una buona remissione dei sintomi, ma questo non significa completa guarigione. L’obiettivo è di rendere il soggetto indipendente, con una ripresa della vita lavorativa, sociale e di studio.
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14/09/2015