Fino a pochi anni fa chi era affetto da una malattia rara genetica della retina, come ad esempio la retinite pigmentosa, la malattia di Stargardt o la distrofia dei coni, doveva rassegnarsi a tempi davvero molto lunghi per avere una diagnosi definitiva, fatta con test molecolare… Ciò comportava spesso la necessità di rivolgersi a laboratori esteri e, nel lungo tempo dell’attesa, e naturalmente ad una progressiva e inarrestabile cecità.
Il percorso di diagnosi, che poteva anche essere di due anni, escludeva infatti questi pazienti dalla possibilità di entrare nelle sperimentazioni cliniche più avanzate che oggi sono quelle con approccio farmaco-genomico: un farmaco specifico per una precisa mutazione o un gruppo di mutazioni responsabili della malattia. Oggi tutto questo è cambiato perché l’Italia, grazie ad una inedita alleanza tra il mondo della ricerca scientifica non profit e le strutture ospedaliere pubbliche ha creato un network di eccellenze: la Rete per le malattie rare della retina.
A tirare le file di questa iniziativa, nata circa 3 anni fa, è l’Istituto non profit di genetica MAGI, fondato e guidato oggi dal giovane genetista Matteo Bertelli. E’ proprio presso i loro laboratori, che si trovano a Rovereto (Trento), che vengono effettuati con velocità (mediamente 3 – 6 mesi) e grande precisioni i test genetici per la diagnosi molecolare di tantissime malattie genetiche rare della retina: alcuni di questi prima non si potevano svolgere nel nostro paese. Questo laboratorio, per le sue capacità, ha attratto intorno a sé i migliori centri clinici per le malattie della retina.
Nel network, infatti, ci sono ora il Gemelli di Roma, il San Paolo di Milano e il Luigi Sacco, anche questo di Milano. Questo centri collaborano strettamente tra loro, si confrontano per arrivare ad una sempre migliore conoscenza delle malattie, si scambiano opinioni sui singoli pazienti, applicano ad ognuno delle procedure di diagnosi e terapie standardizzate e ispirate al massimo della qualità, a partire dalla diagnosi, che è un momento fondamentale, fino alla riabilitazione e all’inserimento nei trial clinici.
Che un paziente si rivolga al centro di Roma o a quello di Milano avrà dunque lo stesso trattamento negli stessi tempi, un passo importante laddove tutti sanno che ancora oggi la qualità dei servizi non è uniforme sempre al nord e al sud. Ma la ‘Rete’ non ha intenzione di fermarsi qui: la speranza è di poter allargare questa collaborazione anche alla Puglia attraverso un lavoro di formazione e dunque di adesione dell’Ospedale di San Giovanni Rotondo, così da dare un punto di appoggio anche ai pazienti che provengono dalla parte più meridionale del Paese.
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