La sindrome dell’X Fragile (XFS) è una condizione genetica ereditaria, inserita dal 2001 tra le patologie rare perché colpisce solo 1/4.000 maschi e 1/7.000 femmine. È ritenuta la principale causa ereditaria di disabilità intellettiva e la più comune causa genetica dei disturbi dello spettro autistico. Alice Montanaro, neuropsicologa libera professionista presso la Clinica Istituto Santa Chiara, con sedi a Lecce e a Roma, spiega maglio di che cosa si tratta.
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Quali sono le cause della sindrome dell’X Fragile?
È determinata dalla mutazione del gene FMR1, localizzato sul cromosoma X, che a sua volta codifica per la proteina FMRP, espressa soprattutto nel cervello e che riveste un ruolo fondamentale nello sviluppo del sistema nervoso centrale. Il cromosoma X responsabile della comparsa della sindrome può essere trasmesso sia da padre che da madre. La XFS è più grave nei maschi, poiché presentano un’unica copia del cromosoma X.
Come si manifesta?
Nonostante la diagnosi possa essere effettuata sin dalla nascita, la XFS è spesso diagnosticata più tardi, intorno ai tre anni, quando la traiettoria di sviluppo atipico diventa più evidente, e anche a causa della grande variabilità del fenotipo. Le manifestazioni cliniche possono essere di tre tipi: fisico (viso sottile e allungato, orecchie lunghe, piedi piatti, ecc.); psicologico-cognitivo (disabilità intellettiva, disturbi dell’attenzione, difficoltà di elaborazione dei dettagli, disturbi dell’apprendimento, ecc.); comportamentale (difficoltà relazionali, comportamenti manipolativi, discontrollo degli impulsi, ecc.).
In che modo si fa la diagnosi?
La diagnosi della sindrome dell’X fragile viene effettuata mediante prelievo di sangue. Si effettua di solito una diagnosi di tipo molecolare che mira a osservare direttamente il gene FMR1. Grazie al progresso scientifico è oggi possibile effettuare ulteriori esami: test prenatale (che valuta lo stato di salute del feto); genetica pre-impianto (che identifica alterazioni sui geni paterno e materno); pre-concepimento (che indaga prima del concepimento eventuali mutazioni dei geni materni).
Come si cura la sindrome dell’X fragile?
Attualmente non vi è cura per la sindrome dell’X fragile, i trattamenti mirano al miglioramento della sintomatologia associata.
- Le terapie farmacologiche più efficaci includono molecole antagoniste dei recettori glutammatergici, impiegate per ridurre i comportamenti aggressivi e ripetitivi, e farmaci stabilizzatori dell’umore, tra cui il litio.
- Tra le terapie non farmacologiche, altamente consigliate per l’assenza di effetti collaterali e per la dimostrata efficacia, rientrano: le terapie comportamentali (impiegate per modificare i comportamenti disfunzionali), la riabilitazione neuropsicologica (utilizzata per trattare i disturbi cognitivi e potenziare le abilità cognitive preservate) e la terapia cognitivo-comportamentale (effettuata solo con individui con capacità cognitive più elevate; aiuta il paziente a identificare i propri pensieri, emozioni e comportamenti e a sostituirli quando non adattivi). In questa direzione, con l’Associazione X Fragile Puglia, ho avviato un progetto multi-integrato che ho denominato “CORP-OSA-MENTE ABILI” e che unisce i tre interventi non farmacologici di cui sopra.
Qual è la qualità della vita?
La qualità della vita cambia in base alla gravità della sintomatologia associata. Ad esempio, la comorbilità con epilessia e altri disturbi neurologici/psichiatrici può limitare le autonomie personali. Le persone con maggiore livello intellettivo e che effettuano con costanza terapie come la stimolazione neurocognitiva mostrano però un maggiore funzionamento personale, sociale ed eventualmente lavorativo. L’aspettativa di vita delle persone con XFS non è diversa da quella di chiunque altro.