Salute

Ptosi palpebrale: cause, diagnosi e cure

Il chirurgo Baruffaldi Preis spiega in che cosa consiste l'intervento per trattare la palpebra calante

Il nome tecnico per definire la palpebra calante è ptosi palpebrale (o blefaroptosi). In pratica, la palpebra non si alza a sufficienza per scoprire completamente il disco dell’iride, con implicazioni sulla vista (si riduce di fatto la visione da uno o da entrambi gli occhi) e sull’estetica dello sguardo. A volte l’aspetto pseudoaddormentato crea anche delle implicazioni psicologiche, nel senso che la persona non si accetta con questo difetto. Quando la ptosi è grave, l’occhio interessato può diventare pigro e per un meccanismo di compensazione essere escluso dalla vista. La conseguenza? Si può passare da una visione binoculare a una visione monoculare.

Quali sono le cause?

La ptosi palpebrale è piuttosto frequente negli anziani, quando cede il muscolo elevatore, per l’età o a seguito di un intervento per eliminare la cataratta. Ma ci sono diverse origini del problema, tra cui una congenita: si nasce così. Tra le cause più frequenti della ptosi acquisita, ci sono la paralisi del nervo oculomotore o quella del muscolo elevatore della palpebra, malattie sistemiche come la miastenia oppure lo sviluppo di lesioni espansive come le neoplasie cerebrali. E alla base può esserci un trauma, per esempio una contusione da parabrezza in seguito a un incidente automobilistico.

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Come si diagnostica?

Nelle malformazioni congenite gravi, la diagnosi di ptosi palpebrale viene effettuata dal neonatologo già nei primi giorni di vita. Per le forme più leggere è il pediatra a scoprire la patologia. Il bambino con la ptosi bilaterale delle palpebre tende a ruotare il volto verso l’alto per guardare meglio. Nelle ptosi monolaterali, i bambini girano la testa dalla parte dell’occhio sano quando viene interessato da una qualsiasi immagine. Per gli adulti, la difficoltà visiva porta il soggetto a chiedere un consulto all’oculista, che di solito fa diagnosi di ptosi palpebrale. In seguito la diagnosi viene confermata da altri specialisti, che con l’oculista impostano l’intervento di chirurgia orbito-palpebrale (chirurghi plastici maxillofacciali, neurologi).

In cosa consiste l’intervento

Il chirurgo sceglie come intervenire a seconda della gravità della ptosi palpebrale, dettata dalla maggiore o minore chiusura della palpebra (in fase statica), nonché dall’escursione verso l’alto del margine palpebrale (fase dinamica), dell’età della persona e del tipo di causa. Sono due i tipi di intervento.

1. Se il muscolo elevatore della palpebra non funziona, si preleva una fettuccia di tendine dalla muscolatura laterale della coscia e si fa una sorta di bretella che collega il movimento di apertura o chiusura della palpebra con quello del sopracciglio. Così facendo, una volta che si alza il sopracciglio, automaticamente si solleva la palpebra.

2. Se il muscolo elevatore funziona ma è troppo debole o sfilacciato, si interviene chirurgicamente per accorciarlo e rifissarlo in modo stabile alla porzione rigida della palpebra (tarso).

Nei bambini entrambi gli interventi per la ptosi palpebrale si eseguono sempre in anestesia generale, mentre negli adulti possono essere eseguiti anche in anestesia locale con sedazione, scelta preferibile perché è utile la collaborazione del paziente cosciente che apre e chiude la palpebra durante l’intervento per capire se la palpebra si alza a sufficienza. Di solito la procedura dura circa un’ora. Le tecniche prevedono l’uso di bisturi, strumenti tradizionali e punti di sutura. Laser o altre forme di energia non sono indicati in questo campo. La via d’accesso per la ptosi palpebrale è la stessa che si utilizza per correggere gli inestetismi in chirurgia estetica. Per questo motivo la cicatrice risulta poco visibile, nascosta nella piega palpebrale.

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Esistono possibili complicanze?

Accorciando il muscolo può accadere che la palpebra non rimanga perfettamente chiusa, soprattutto di notte. Se si tratta di un paio di millimetri, il difetto non crea problemi di salute alla cornea, perché durante il sonno il bulbo oculare ruota e di fatto resta protetto. Se invece l’apertura provoca irritazioni alla cornea, bisogna reintervenire per evitare che alla lunga si creino ulcere corneali. Un ulteriore problema che può sopravvenire con l’avanzare dell’età è un rilassamento della cute, che può presentare delle pliche diverse dalla palpebra sana. Anche questo inestetismo può essere risolto con un semplicissimo intervento di chirurgia plastica chiamato blefaroplastica.

I consigli del chirurgo

Per eseguire questo intervento il paziente deve potere sottostare a un’anestesia, dunque è necessario fare una serie di esami del sangue e un elettrocardiogramma in preparazione. Alcune malattie che condizionano la cicatrizzazione dei tessuti (come il diabete) e che richiedono l’uso di anticoagulanti (eparina, aspirina) debbono essere studiate prima dell’intervento, onde evitare di incorrere in serie complicanze.

Focus a cura di Franz Baruffaldi Preis, Primario dell’Unità Funzionale di Chirurgia Plastica dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano e Membro dell’European Association of Aestethic Surgery (ASSECE)

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