E’ il principale fattore di rischio per le malattie cardiovascolari ma è ‘silenzioso, non dà sintomi e per questo va tenuta sotto controllo: quando è alta la pressione arteriosa può indicare un’ostruzione della circolazione o un cuore che pompa in modo anomalo (GUARDA). Se le linee guida internazionali stabiliscono che per la maggior parte delle persone i valori limite debbano mantenersi al di sotto di 80/140mmHg (la ‘minima’ e la ‘massima’), per gli anziani i parametri sono più flessibili e trattamenti anti-ipertensivi aggressivi non sono sempre necessari.
Lo ribadisce una nuova indagine statunitense pubblicata sulla rivista Drugs&Aging che ha confrontato i risultati di 31 studi sulla gestione dell’ipertensione negli ultrasessantacinquenni, confermando ciò che molti esperti sostengono da tempo: 140 di ‘massima’ è, in molti casi, un obiettivo troppo ambizioso per chi è in terza età. «Ma c’è ancora scetticismo tra alcuni colleghi nell’accettare dei valori di pressione più alti», spiegano i ricercatori. «Mantenere la pressione sistolica inferiore a 150 è importante nelle persone anziane, è ciò che noi chiamiamo un controllo più ‘morbido’». Stando alle conclusioni della ricerca, la prescrizione di intense terapie anti-ipertensive, allo scopo di riportare la pressione a parametri più ‘giovanili’, può addirittura essere controproducente, innescando effetti collaterali come l’ipotensione ortostatica, il crollo repentino della pressione quando ci si alza in piedi che si verificherebbe in almeno un terzo degli ottantenni.
La gestione della pressione alta non passa solo dal banco della farmacia: una dieta adeguata, esercizio fisico e l’adozione di uno stile di vita corretto possono essere, in molti casi, sufficienti ad abbassarla. Per questo le evidenze attuali suggeriscono una nuova direzione per il trattamento dell’ipertensione, non solo centrato sui farmaci e che tenga conto dell’età e dello stato di salute generale dell’individuo.
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