Salute

Pet therapy: cos’è e quali sono i suoi benefici?

La pet therapy, oggi meglio definita con il termine Interventi Assistiti con Animali, si è ormai rivelata un’efficacissima integrazione alle normali cure e ha fatto il suo definitivo ingresso negli ospedali italiani   

Fu lo psichiatra statunitense Boris M. Levinson a coniare negli anni Sessanta del secolo scorso il termine pet therapy, oggi sostituito da un più tecnico Interventi Assistiti con Animali (IAA).

Per spiegare in che cosa consistano gli IAA bisogna innanzitutto precisare che «l’animale può avere una funzione terapeutica, ma anche di sostegno emotivo e sociale. In quest’ultimo caso si parla di animali da compagnia, senza etichetta terapeutica o riabilitativa, mentre nel primo caso si ricorre agli Interventi Assistiti con gli Animali». Francesca Mugnai è direttore scientifico del Centro Ricerca Antropozoa, responsabile degli interventi assistiti dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Meyer di Firenze e autrice de Gli interventi assistiti con gli animali nell’area pediatrica (FrancoAngeli, 2017).

Gruppo San Donato

Pet therapy: i diversi tipi

Gli interventi assisti con gli animali possono essere di tre tipi:

  1. Terapia Assistita con gli Animali (TAA). È volta a integrare e rafforzare le normali cure mediche con precise caratteristiche e obiettivi finalizzati a migliorare la salute psicofisica del paziente;
  2. Attività Assistita con gli Animali (AAA). Si tratta di interventi di tipo ricreativo, assistenziale e/o educativo caratterizzati da una maggiore flessibilità e spontaneità procedurale rispetto alla TAA con lo scopo di migliorare la qualità della vita di alcune categorie di persone;
  3. Educazione Assistita con gli Animali (EAA). Sono utili per promuovere l’interazione dei bambini in età scolare con le altre persone e l’ambiente.

Pet Therapy: il cane dev’essere addestrato in modo altamente professionale

«Un IAA è basato sul singolo paziente e sull’animale adatto a quel contesto e a quella persona. Non basta, insomma, avere un cagnolino bravissimo per potere parlare di pet therapy. L’animale deve avere compiuto, al pari dell’operatore che lo guida, un percorso di formazione complesso e altamente professionalizzante. Non esiste, per esempio, un cane giusto per tipo di razza per ogni reparto o ogni patologia. Viene scelto fin da piccolo in base a una serie di caratteristiche, anche ma non solo di razza e in base al percorso che deve fare in ospedale».

Le fa eco Odette Abramovich, veterinaria esperta in IAA e in comportamento , docente della SIUA – Istituto di Formazione Zooantropologica, Scuola di Interazione Uomo-Animale. «Una volta si pensava che il fare accarezzare i cani ai pazienti ne migliorasse la situazione, ma è come nel caso dei farmaci. Quelli che sono di beneficio per un ammalato possono essere pericolosi per un altro. Occorre, perciò, un monitoraggio attraverso test da condurre prima, durante e dopo gli incontri, fino a un mese o due dopo il termine del progetto. Noi di SIUA, per esempio, facciamo una prescrizione dimensionale».

Quali sono gli animali “adatti”?

In quanto alle specie animali idonee agli IAA, sottolinea Francesca Mugnai, «le attuali normative e la letteratura scientifica individuano i cani, i cavalli, gli asini, i conigli e i gatti. A livello internazionale c’è la proposta sempre più insistente di poter testare in questo ambito anche animali da fattoria, come le galline, oppure gli alpaca, i lama e i porcellini d’india». E con i quattrozampe interagisce tutta una serie di figure professionali umane. «Secondo le Linee Guida del 2015», elenca Odette Abramovich, «il lavoro viene svolto sempre in équipe. Nel caso delle AAA prevede un responsabile di progetto, un veterinario esperto in IAA e il coadiutore dell’animale. In pratica possono essere coinvolti medici di varie specializzazioni, psichiatri, psicologi, educatori…».

Pet Therapy: gli animali in corsia

Gli IAA hanno da tempo fatto il loro ingresso negli ospedali italiani e vengono utilizzati in alcuni specifici reparti.

Pediatria

«Il rapporto del bambino con il pet è preferenziale, hanno canali di comunicazione immediati, con una condivisione della dimensione affettiva e di altri aspetti, a partire dal gioco». Valentina Di Mattei è professore associato di psicologia e psicologia dinamica all’Università Vita-Salute San Raffaele e psicologo clinico all’Irrcs Ospedale San Raffaele di Milano. «Inoltre sviluppano, in corsia come nella vita quotidiana, l’empatia: a volte si fa ricorso a un gioco in cui il piccolo paziente cura l’animale».

Il doversi prendere cura di un cane, si associa Odette Abramovich, «allena la testa a pensare all’altro e ai suoi bisogni, un ottimo antidoto anche contro il bullismo. Nel caso di bambini iperattivi, invece, occorre aumentare le capacità di attenzione, di concentrazione, di osservazione e di poter cominciare e finire un’attività».

La relazione mediata con il quattrozampe risulta benefica anche per evitare il rischio che piccoli guariti da patologie gravi diventino adulti con depressione per aver vissuto esperienze forti che li hanno fatti crescere troppo in fretta. La veterinaria narra il caso di una bimba di sei anni con leucemia linfoide acuta. «Per raggiungere gli obiettivi stabiliti dai medici abbiamo lavorato in un maneggio di cavalli con giochi di finzione. Il cavallo, insieme all’equipe di professionisti, la accompagnava nel bosco limitrofo dove una psicologa vestita da elfo entrava in contatto con lei, affidandole missioni da portare a termine. È stato un modo per aumentare in lei il senso di speranza, la fantasia e le emozioni positive».

Psichiatria

L’interazione con un animale può essere benefica nel caso di disturbi emotivi e cognitivi anche negli adulti, dai livelli patologici leggeri a quelli più gravi. «Il calore e l’affetto che derivano da un animale sono molto efficaci nell’aiutare la persona a uscire da un isolamento non solo emotivo/affettivo, ma anche relazionale».

«Spesso si svolgono terapie di gruppo con tre o quattro pazienti e uno o due cani come mediatori. In alcune riabilitazioni psichiatriche il prendersi cura di un pet insegna, poi, a occuparsi anche di se stessi. Studi ancora da confermare segnalano anche un aiuto per quanto riguarda le capacità mnestiche. In particolare ne giova la memoria a breve termine, e l’arricchimento del vocabolario».

Per chi soffre di autismo, poi, l’animale costituisce un mediatore emozionale e un catalizzatore dei processi socio-relazionali. In questo modo aiuta il paziente a sostenere le aree maggiormente compromesse dal disturbo, cioè l’affettivo-emozionale, la ludica e la psicomotoria.

Neurologia

Anche in questo ambito gli animali servono per stimolare l’attenzione e la memoria di pazienti che soffrono di patologie degenerative come l’Alzheimer e il Parkinson. «Un dato scientifico consolidato», precisa Valentina Di Mattei, «è che la memoria immagazzina con maggiore facilità se l’apprendimento è legato a un affetto».

L’arrivo del cane, aggiunge Odette Abramovich, «può, infatti, essere utilizzato per stimolare l’autonarrazione della persona. Io vi racconto chi è il cane qui presente oggi con me e voi mi raccontate se avete mai avuto un cane. Aiuta anche a fortificare il senso di sé».

Geriatria

Residenze per anziani, centri per disturbi del comportamento alimentare. Gli IAA sono utilizzati per contrastare l’eventuale senso di abbandono dei pazienti, che si trovano in strutture in cui magari non vorrebbero restare. «L’animale diventa un’opportunità per mettere in relazione tra loro gli ospiti di queste strutture. In questo modo vivono in maniera più positiva il trascorso in ospedale. Si possono fare giochi di gruppo, magari di mobility. Si può preparare prima un cartellone con la presentazione dei vari partecipanti, hobby compresi, che, poi, con la scusa di parlare del pet, parleranno di loro stessi».

Terapia intensiva

Oltre a ridurre lo stress del ricovero, gli IAA possono rientrare nel protocollo di riabilitazione in quanto stimolano il movimento del paziente in rianimazione. Gli leccano la mano, si lasciano accarezzare e, ovviamente se le condizioni del malato lo consentono, lo stimolano al gioco. Il primo progetto italiano in tal senso è partito quattro anni fa presso l’ospedale Careggi di Firenze.

Riabilitazione motoria

«Il cane e il cavallo», interviene Francesca Mugnai, «fungono da importanti motivatori al recupero psicofisico». Sono adatti a coloro che stanno cercando di recuperare le capacità motorie perdute.

Malattie oncologiche

«L’affiancare un animale a un paziente in fase terminale è uno strumento per rendere la fase finale della malattia il meno traumatica possibile». Emilio Bria è ricercatore della Fondazione Airc per la ricerca sul cancro presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. «Il pet, infatti, non rappresenta solo una figura da accudire, ma anche un soggetto con cui scambiare affetto. Vi sono alcuni animali che hanno una forte percezione della sofferenza delle persone alle quali sono affidati e, quindi, sono in grado d’interagire in maniera benefica. Chiaramente si tratta di una terapia integrativa da svolgere in sinergia con un’équipe di psiconcologi e palliativisti».      

Pet Therapy: fondamentale il benessere dell’animale  

«L’animale dev’essere costantemente controllato sia a livello clinico, attraverso esami specifici sullo stress, come le indagini veterinarie sul cortisolo, sia comportamentale. È importante non solo stare attenti che non lavorino per troppe ore o che si alimentino correttamente, ma anche che siano felici durante il training e l’impiego nelle strutture sanitarie. SIUA ha un approccio cognitivo, cioè ritiene che gli animali abbiano una mente e questo ci porta a tenere presenti alcune componenti mentali come le loro motivazioni, emozioni e rappresentazioni. Fondamentale è la socializzazione, affinché non vivano situazioni di stress quando si trovano di fronte persone che non hanno mai visto, come pazienti su sedia a rotelle o menomazioni. Per questo non possono essere coinvolti:

  • cuccioli,
  • cani adolescenti o post adolescenti (il cane fino a un anno e mezzo di età non è maturo socialmente),
  • anziani e la data di “pensionamento” dipende dal soggetto ed è stabilita sempre dal veterinario esperto in IAA».

In Italia linee guida ma non la legge

In Italia si è parlato per la prima volta ufficialmente di pet therapy il 6 dicembre 1987, con un convegno a Milano su «Il ruolo degli animali da compagnia nella società odierna». Da allora passi in avanti ne sono stati fatti. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 2003 ha riconosciuto come cura ufficiale «l’utilizzo di animali da compagnia ai fini di pet therapy». Sei anni dopo il ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali ha istituito il Centro di referenza nazionale per gli Interventi Assistiti con gli Animali presso l’Istituto zooprofilattico sperimentale delle Venezie. Tuttavia manca ancora una legge di riferimento.

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