Abbronzarsi senza esporsi al sole. Finora eravamo costretti a ricorrere a creme autoabbronzanti con risultati non sempre esaltanti, specie per quanto riguarda gli uomini, alle prese con peli e calvizie. Il sogno di molti di noi adesso però starebbe per avverarsi.
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L’abbronzatura in provetta
Un’équipe di scienziati americani infatti è riuscita a fare abbronzare alcune cellule della pelle umana in provetta. E tutto senza esporle né ai raggi solari, né alle radiazioni delle lampade a raggi Uv.
Come ci sono riusciti?
L’esperimento è riuscito applicando una nuova classe di molecole. Sono così piccole da riuscire a penetrare fino negli strati più profondi della cute e a stimolare gli stessi meccanismi biologici dell’abbronzatura attivati proprio dai raggi ultravioletti.
Ora nuovi prodotti per proteggere la pelle
La scoperta è stata pubblicata dalla rivista scientifica Cell Reports. Ed è stata messa a punto dai ricercatori del Massachusetts General Hospital e del Dana-Farber Cancer Institute di Boston. Gli scienziati hanno così aperto la strada a una nuova generazione di prodotti per proteggere le pelli più sensibili. E in grado anche di prevenire il rischio di tumori gravi come il melanoma.
Come agisce
Queste piccole molecole agiscono bloccando degli enzimi che frenano la produzione di melanina. Con un’applicazione topica ripetuta per otto giorni consecutivi, la pelle umana in provetta ha mostrato un’evidente pigmentazione, con la deposizione della variante più scura e protettiva della melanina (chiamata eumelanina) vicino alla superficie. Proprio come accade nelle pelli baciate dal sole.
Effetto diverso dagli autoabbranzanti
L’effetto abbronzante di queste nuove molecole è molto differente rispetto a quello ottenuto con le tradizionali creme autoabbronzanti, che colorano lo strato corneo più superficiale della pelle offrendo soltanto un effetto cosmetico, o con gli attivatori di melanina, che accelerano l’abbronzatura.
Il parere dell’esperto
«L’attivazione della pigmentazione attraverso questa nuova classe di molecole è fisiologicamente identica a quella indotta dai raggi Uv, ma permette di evitare i loro effetti dannosi sul Dna» spiega il coordinatore dello studio David E. Fisher.
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