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Il mondo ingrassa
È una malattia
Nonostante sia ribadito da tutti i medici che avere chili di troppo esponga allo sviluppo di patologie (leggi qui tutti i rischi che si corrono), tra i pazienti questa consapevolezza manca. Così come manca la consapevolezza che l’obesità sia essa stessa una malattia. Nel campione analizzato da Gfk Italia (320 obesi), alla domanda su quali fossero i principali problemi legati all’obesità, quelli di salute compaiono solo al terzo posto, preceduti dal disagio di natura estetica e dalla difficoltà a svolgere i movimenti più banali. Ma un soggetto obeso, in media, è interessato da almeno tre patologie correlate: diabete, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari. Senza contare l’aumento del rischio di contrarre un tumore, come confermato dai Cdc statunitensi. «Nel nostro centri, durante gli esami sul paziente obeso, intercettiamo vari tumori, anche misconosciuti. C’è sicuramente maggiore incidenza, perché il grasso produce sostanze infiammatorie che agevolano l’insorgenza della neoplasia» spiega Giovanelli.
I medici di base
A non trattare l’obesità come una patologia sono spesso anche i medici di base. «Questo significa che la persona non viene considerata malata, ma colpevole, e quindi si perde un’occasione per aumentare la sua consapevolezza e per indirizzarla alle giuste cure, che in alcuni casi possono essere anche chirurgiche» sottolinea l’esperto. Dall’indagine, infatti, emerge che il 54% del campione (201 medici di medicina generale) prescrive innanzitutto una dieta accompagnata da un’attività fisica regolare, in quanto la ritiene la soluzione più efficace. Al secondo posto troviamo il trattamento chirurgico, ma solo una piccola percentuale di medici curanti la suggeriscono, perché la maggior parte afferma di non conoscerla in modo approfondito.
Un ambiente obesogeno
Gli italiani, e tutto il mondo, ingrassa, perché ormai viviamo in un ambiente obesogeno e ritagliarsi uno stile di vita sano sembra sempre più difficile. «Anche se ci sono diverse buone iniziative (a livello scolastico, ad esempio, i piedi bus e il controllo delle merendine), la base della nostra società è ormai estremamente sedentaria – avverte l’esperto – oggi si fa tutto via web, con i telecomandi, con gli smartphone. In banca non si va più, a fare la spesa nemmeno e anche lo shopping si può fare online. Praticamente possiamo vivere stando fermi!».
Quando ricorrere alla chirurgia
La scelta dell’approccio chirurgico per la terapia dell’obesità avviene ancora in pochissimi casi. I fattori che incidono sulla scelta sono diversi: molti temono imprevisti durante l’intervento ed eventuali effetti collaterali. Tra i motivi che invece inducono i pazienti a sottoporsi all’intervento ci sono la certezza di raggiungere benefici e di perdere peso. Quando vi si ricorre? «La chirurgia dell’obesità non è l’ultima spiaggia, ma è un trattamento avanzato per una malattia grave. Prima di tutto il paziente deve capire il problema alla base della malattia (se organico, endocrinologico, psicologico ecc.) e poi passare al primo approccio, dietologico e comportamentale» sottolinea Giovanelli. «Non sempre questo primo approccio produce risultati. Se non è sufficiente, i pazienti con un indice di massa corporea sopra i 40 sono definiti “grandi obesi” e sono candidabili a un percorso chirurgico, i pazienti tra il 35 e il 40 possono essere candidabili se la loro situazione di obesità è aggravata da alcune malattie. Le patologie correlate, come cardiopatie o problemi respiratori, non sono un limite alla chirurgia, anzi, l’intervento può farli guarire da queste problematiche».
Giulia Masoero Regis