Vivere senza capire quello che fanno le persone intorno, il significato dei loro gesti e delle loro parole, il senso di un sorriso. Non sapersi mettere nei panni degli altri, non provare empatia, non ridere per una battuta, non piangere davanti a un film drammatico. E apparire isolati. Essere considerati antipatici se va bene, insopportabili o minorati nei casi più gravi.
Le giornate di una persona autistica possono essere un calvario e solo in pochissimi casi prendono la strada di una diversità eccezionale.
Gli straordinari savant
Nove autistici su dieci sono afflitti da deficit cognitivi, ma una piccola parte di loro può avere abilità straordinarie. Sono i cosiddetti idiot savant (ritardati e sapienti), che a volte hanno doti eccezionali nella matematica, nella grafica, o nell’uso della memoria, ma per il resto sono disadattati dal punto di vista sociale e non riescono a condurre una vita normale (per esempio, vanno malissimo a scuola). Può succedere che abbiano capacità straordinarie anche le persone con la sindrome di Asperger, detta autismo ad alto funzionamento, in cui le abilità intellettive sono normali, ma prevale un grave deficit di interazione sociale.
Il più famoso savant è il protagonista del film Rain man: è ispirato all’americano Kim Peek, oggi 57enne, che non sa mettersi le scarpe ma che conosce a memoria 12mila libri e la mappa di tutte le grandi città statunitensi. Un altro noto savant è Derek Paravicini, musicista apprezzatissimo.
Tra gli Asperger, invece, la docente all’Università del Colorado Temple Grandin, che ha progettato un terzo di tutti gli impianti per la gestione del bestiame negli Stati Uniti. «Il più delle volte mi sento come un antropologo su Marte», confessa Grandin al celeberrimo neurologo Oliver Sacks, che a lei dedica il titolo della sua raccolta di racconti, Un antropologo su Marte, appunto (edito da Adelphi).
La letteratura scientifica, e non solo, è piena di esempi di questo tipo. Daryl Hannah, che a tre anni era stata giudicata autistica borderline, è diventata una star del cinema, Daniel Tammet è un genio dei numeri (sa recitare a memoria il pi greco fino a 22.514 cifre).
«Gli autistici hanno sempre una condizione cerebrale compromessa, ma a volte presentano aree selettive che funzionano benissimo», spiega Carlo Lenti (puoi chiedergli un consulto), docente di neuropsichiatria infantile all’Università degli Studi di Milano. «In questi ambiti (musica, pittura), e solo in questi, un paziente autistico può ottenere risultati stupefacenti. All’ospedale San Paolo di Milano, per esempio, abbiamo seguito un bimbo cieco con un autismo conclamato, che però aveva un grande talento per il pianoforte: ha frequentato con profitto i corsi del Conservatorio» .
Un mondo di solitudine
L’autismo è considerato un disturbo pervasivo dello sviluppo e si manifesta entro il terzo anno di età. Esiste come definizione solo da sessant’anni.
«Prima la malattia non era riconosciuta e le migliaia e migliaia di sventurati che ne erano colpiti venivano considerati come persone bizzarre, o come gli scemi del villaggio, o come persone pericolose, da chiudere in manicomio», scrive Sacks nel suo libro.
Poi, intorno al 1940, un medico di Baltimora, Leo Kanner, e uno di Vienna, Hans Asperger, si accorgono, indipendentemente l’uno dall’ altro, che dietro a un’apparente accozzaglia di disturbi diversi c’è una base comune, e la chiamano autismo. «Una parola che trae origine dal greco autòs (se stesso) e che rende bene l’idea della solitudine, una caratteristica fondamentale di questa sindrome», dice Sacks.
Nell’immaginario collettivo gli autistici sono impenetrabili, aggressivi, persi in movimenti ripetitivi, soprattutto della testa. «È vero che a due o tre anni l’autismo può comportare questo quadro devastante, ma è anche vero che alcuni ragazzini riescono pian piano ad acquisire discrete capacità di linguaggio e qualche abilità sociale, o perfino a conseguire apprezzabili risultati intellettuali», scrive Sacks.
Il disturbo è in crescita
Nelle sue variegatissime forme, l’autismo è un problema molto più maschile che femminile, e appare in crescita. «Non esistono statistiche ufficiali e dunque non si sa quante siano nel mondo le persone colpite dal disturbo», dice Lenti. «In base all’esperienza possiamo affermare che dalla percentuale di un caso ogni mille bambini, rimasta costante per decenni, si è ormai arrivati a uno ogni 500, e ci stiamo avviando verso uno ogni 250».
Un anno fa è stato pubblicato dalla rivista The Lancet uno studio inquietante, condotto dai ricercatori della Harvard School of Public Health di Boston (Stati Uniti): dimostra che l’esposizione chimica a sostanze tossiche industriali, come il piombo, danneggerebbe il cervello nei feti e nella prima infanzia, causando disturbi mentali quali l’autismo. I risultati sono allarmanti e altre indagini appaiono obbligatorie.
Lenti precisa: «L’escalation di bambini autistici è forte, ma bisogna tenere presente che all’incremento reale del problema si affianca una migliore capacità di diagnosticarlo».
Gli studi su nuovi test
Ammette Antonio Persico, docente di fisiologia all’Università Campus Biomedico di Roma: «A volte gli adulti autistici vengono scambiati per schizofrenici o altro. E questo rende ancora più gravi i problemi. Anche nei bambini la diagnosi spesso arriva tardi. Per accelerarla si stanno studiando test più precisi, che non siano basati solo sui comportamenti ma su alterazioni del Dna, oppure su particolari variazioni del sistema immunitario o su altri parametri biochimici.
Grazie a questi nuovi esami si potrà dire, già nei primissimi giorni di vita, se un neonato ha qualche probabilità di diventare autistico. E questo consentirà di avviare subito i programmi di riabilitazione, quando il cervello è ancora plastico».
L’ipotesi: Dna in disordine
Ma che cosa provoca la malattia? Un disordine genetico, dicono gli studiosi, che si verificherebbe per cause ancora sconosciute durante i primi tre mesi della gravidanza. Si sta cercando di mapparlo. «Finora abbiamo identificato un riarrangiamento cromosomico, cioè piccole perdite o duplicazioni di Dna (ce n’è troppo), nel 5-10% dei pazienti», dice Persico. «Ma vogliamo scovare anche le altre possibili varianti in tutte le persone colpite dall’autismo. E occorreranno alcuni anni per completare il quadro».
Insomma, non c’è un solo gene dell’autismo. La patologia è una condizione multifattoriale e complessa. Il disordine nel Dna crea scompiglio in alcune aree cerebrali. «In particolare, danneggia il cervelletto e il ponte, come hanno mostrato le immagini della risonanza magnetica funzionale», continua Lenti.
Non basta. «I danni coinvolgono in modo grave anche i neuroni specchio, cioè quelli deputati a riconoscere le intenzioni delle persone che abbiamo di fronte», spiega Francesco Barale, docente di psichiatria all’Università di Pavia. «E da questo discende l’incapacità, per gli autistici, di interpretare le emozioni degli altri».
Le false credenze
Per moltissimo tempo si è creduto che l’autismo fosse, invece, un problema psicologico, provocato da un cattivo rapporto dei bambini con la madre. «Adesso si sa che le cose non stanno assolutamente così», dice Persico, «anche se alcuni psicanalisti, purtroppo, continuano a pensarlo. La natura genetica della malattia è ormai dimostrata da moltissimi studi. Non a caso è possibile che qualche traccia di autismo si ritrovi anche nei fratelli o nei genitori. Ma il tutto si riduce, in genere, a una certa ombrosità caratteriale o a qualche accenno di bizzarria».
Attenzione: non stiamo parlando di una malattia ereditaria, ma di una predisposizione familiare. «È qualcosa di simile a quello che accade per certe malattie cardiovascolari», chiarisce Persico. «Se qualcuno in famiglia ha avuto un infarto, non significa che i figli vadano incontro obbligatoriamente a questo problema, anche se è opportuno che si tengano controllati più degli altri».
Le terapie psicologiche
La ricerca delle radici genetiche dell’autismo sarà decisiva anche per trovare nuove cure. «Non esistono ancora terapie risolutive», dice Lenti. «Però si può fare molto, tramite apposite tecniche psicologiche cognitivo-comportamentali, per favorire l’autonomia dei bambini autistici che imparano, per esempio, a lavarsi i denti da soli o a interagire con i compagni di scuola (anche se quasi sempre c’è bisogno degli insegnanti di sostegno). Ed è possibile aiutare i bambini a ridurre l’ansia, l’aggressività o gli episodi, peraltro rari, di auto-aggressività».
Bisogna creare, per ogni bambino, un progetto educativo mirato sulle sue capacità, utilizzando ogni spiraglio che lui decide di mantenere aperto, come la musica o certi sport, a partire dal nuoto. «Il peggio che si possa fare è lasciare il piccolo da solo, chiuso in se stesso», spiega Lenti. I farmaci si usano solo per arginare i momenti di crisi, agitazione, rabbia acuta.
Sono però molto poche le strutture specializzate per i bambini autistici in Italia, e appena due o tre quelle per gli adulti. «E questo è un dramma», commenta Barale. «Nei casi più gravi gli adulti autistici finiscono all’interno dei centri per disabili, dove non trovano assistenza adeguata».
Se invece restano con i genitori, la situazione spesso sfiora l’insostenibilità. «Si stima che la presenza di un autistico richieda un impegno e una sofferenza per i familiari paragonabili solo alla vita con un malato di Alzheimer», dice Barale.
L’esempio e la speranza
Esistono alcune iniziative importanti, come la Cascina Rossago, vicino a Voghera (Pavia), attrezzata per ospitare 24 persone con problemi di autismo, che qui trovano 40 operatori specializzati e un laboratorio di ceramica, un frutteto, un allevamento di animali. Anche a Pistoia è stata avviata una Farm community simile, dall’Associazione Agrabah. E a Milano, presso l’ospedale San Paolo, è in fase di realizzazione un Centro per l’autismo, gestito dall’Associazione Koala. Purtroppo sono gocce nel mare.
Paolo Rossi Castelli – OK La salute prima di tutto
Ultimo aggiornamento: 28 gennaio 2011
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