Focus di Barbara Del Bravo, ginecologa all’Asl di Pisa, ospedale di Pontedera.
La morte intrauterina del feto (in sigla Mef, morte endouterina fetale) rappresenta uno dei maggiori problemi che la moderna ostetricia si trova ad affrontare. La frequenza di questo terribile evento per una madre, perdere il proprio figlio durante la gravidanza, varia dal 4 al 12 per mille nati nelle diverse casistiche riportate in letteratura.
CHE COS’È. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) definisce la morte fetale intrauterina come la perdita del feto dopo la 22esima settimana di gestazione (prima si parla di aborto spontaneo) o, in caso di epoca gestazionale non conosciuta, un peso alla nascita di 500 grammi o più.
LE CAUSE. Le cause note di morte intrauterina del feto sono da riferirsi a tutta una serie di patologie tra cui: malattie congenite, infezioni, isoimmunizzazione materno-fetale e tutte quelle situazioni in cui ci sia mancato apporto di ossigenazione al feto, detta asfissia. Proprio l’asfissia rappresenta nell’80% dei casi la prima causa di morte intrauterina del feto. Bisogna altresì dire che, negli ultimi anni, il miglioramento degli standard di cura prenatale e l’introduzione del monitoraggio della frequenza cardiaca fetale a termine di gravidanza hanno ridotto in maniera significativa l’incidenza delle morti fetali dovute a un’insufficiente funzione della placenta, così come l’immunoprofilassi anti D nelle donne Rh negative, ha ridotto del 95% la mortalità per isoimmunizzazione (incompatibilità materno-fetale). Nel 25-60% dei casi le cause di morte intrauterina del feto restano tuttavia sconosciute e tale percentuale tende ad aumentare progressivamente con l’avanzare dell’epoca gestazionale. Sono stati identificati numerosi fattori di rischio quali l’età materna inferiore a 15 o superiore a 35 anni, la razza, una pregressa morte endouterina, il sesso maschile del feto, il ritardo di crescita, la gravidanza multipla, le basse condizioni socioeconomiche, il fumo, l’uso di sostanze, l’alcol, la trombofilia, patologie materne quali il diabete, l’ipertensione, le nefropatie, le malattie autoimmuni. La loro individuazione in epoca preconcezionale o all’inizio della gravidanza, è importante per l’attuazione di programmi di prevenzione.
LA PREVENZIONE. Alcuni fattori di rischio sono modificabili, come quelli legati agli stili di vita, altri, non eliminabili, vanno comunque identificati prima del concepimento del figlio. È proprio grazie a un attento screening prenatale che è possibile andare a individuare le donne a rischio e su loro intervenire al fine di ridurre il numero di morti endouterine fetali. Infine risulta di fondamentale importanza un’attenta valutazione e studio dei casi di morte intrauterina, tenendo conto che i risultati che otteniamo sono importanti per indirizzare a precise indagini di diagnosi prenatale la coppia nelle gravidanze successive, affinché non si ripeta questo evento drammatico che si verifica sì in epoca avanzata di gravidanza, ma che molte volte ha le sue radici al momento dell’inizio della gestazione.
IL LUTTO DEI GENITORI. Che cosa fare e come gestire le coppie a cui accade un evento così drammatico? La morte intrauterina resta un tabù. Non se parla, si tende a evitare l’argomento. Nell’immaginario collettivo non c’è spazio per questo lutto: sembra una beffa, un figlio tanto desiderato che muore ancor prima di nascere è una cosa inimmaginabile e soprattutto incompatibile con l’idea che abbiamo della vita e della morte. Per questo è importante che noi tutti, medici e ostetriche, siamo preparati a sostenere i genitori nelle loro richieste, a stare al loro fianco rispettandoli nel loro dolore, offrendo loro consulenza senza imposizioni o decisioni prese al loro posto, facendo anche percepire loro il nostro shock e il nostro dolore per la morte del figlio. Importante è non minimizzare mai la perdita con frasi del tipo «siete ancora giovani, ne arriveranno degli altri» o «in fondo avete già dei figli».
Barbara Del Bravo, ginecologa all’Asl di Pisa
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