La propria patologia non è l’unico problema che un malato raro deve affrontare per tutta la vita. Spesso si scontra con disturbi subdoli e difficili da riconoscere, peregrina da uno specialista all’altro in cerca di risposte, attende mesi per avere una diagnosi e conoscere le implicazioni di ciò che lo affligge. Intraprende estenuanti terapie, talvolta sperimentali, o addirittura si ritrova a fare i conti con l’assenza totale di cure, che ne abbassa ulteriormente l’aspettativa di vita.
Potete immaginare cosa voglia dire davvero essere un malato raro e quanto sia logorante avere a che fare con patologie che, per definizione della Commissione Europea, colpiscono lo 0,05% della popolazione, ossia 5 persone su 10.000?
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Malattie rare: un po’ di numeri
Purtroppo però, proprio a causa dell’aggettivo che le descrive, di queste condizioni si parla e si scrive ancora troppo poco. Eppure le malattie rare conosciute sono circa 7-8000: un numero già di per sé elevato, che è destinato ad aumentare ulteriormente con il progredire della ricerca scientifica.
Secondo il portale Orphanet Italia, nel nostro Paese i malati rari sono circa 2 milioni, il 70% dei quali sono pazienti in età pediatrica mentre, stando ai dati del Registro nazionale malattie rare dell’Istituto superiore di sanità, ogni anno sono circa 20.000 i nuovi casi segnalati dalle nostre strutture sanitarie.
Dal rapporto dell’Iss emerge che tra le persone under 14 le patologie rare che si manifestano con maggiore frequenza sono le malformazioni congenite, le malattie delle ghiandole endocrine o del metabolismo e i disturbi immunitari, mentre tra gli adulti si verificano maggiormente le patologie del sistema nervoso, quelle del sangue e degli organi emopoietici.
Cause: non tutte le malattie rare hanno un’origine genetica
I più credono che queste malattie abbiano sempre un’origine genetica ma in realtà possono essere scatenate anche da altri fattori. «L’80% di esse si verifica a causa di un’anomalia riguardante uno o più geni e cromosomi: questa può essere ereditaria, cioè trasmessa da uno o entrambi i genitori, o derivare da una mutazione “de novo”, ossia frutto di un nuovo evento, che insorge per la prima volta in quell’individuo che sviluppa la malattia. Nel 20% dei casi, invece, la patologia è innescata dall’interazione tra fattori genetici e alimentari, da infezioni, condizioni autoimmuni, sostanze chimiche, radiazioni e suscettibilità individuale», spiega Stefano Previtali, neurologo, responsabile dell’Unità di Ricerca Rigenerazione Neuromuscolare e referente del presidio delle Malattie Rare all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
L’importanza della diagnosi precoce
Qualunque sia l’origine, però, queste patologie condividono la medesima necessità: essere individuate tempestivamente. «La diagnosi precoce è fondamentale per poter ricorrere quanto prima, ove disponibili, ai trattamenti e alle terapie di supporto in grado di rallentare la progressione della malattia. La possibilità di intraprendere un percorso terapeutico-assistenziale in fase iniziale può, infatti, migliorare lo stato di salute e la qualità di vita del paziente», precisa Gianni Russo, pediatra a indirizzo endocrinologico e referente del presidio delle Malattie Rare all’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Lo screening neonatale esteso
E a proposito di diagnosi precoce, in Italia si sono fatti passi da gigante: dopo aver reso gratuito e obbligatorio, nel 1992, lo screening neonatale per la fenilchetonuria, l’ipotiroidismo congenito e la fibrosi cistica, nel 2016 il nostro Paese si è fatto promotore di una legge che prevede uno screening neonatale esteso (Sne) sui nuovi nati, per verificare la presenza di una quarantina di malattie metaboliche congenite.
Il Dpcm del 12 gennaio 2017 ha poi stabilito che a tutti i neonati dovesse essere garantito anche lo screening uditivo e visivo per la sordità congenita e la cataratta congenita, mentre la legge di bilancio 2019 ha modificato la legge del 2016, estendendo lo Sne alle malattie neuromuscolari genetiche, alle immunodeficienze congenite severe e alle malattie da accumulo lisosomiale. Questa legge ha anche sancito la revisione, auspicabilmente biennale, della lista delle malattie da inserire nello screening neonatale esteso, in relazione all’evoluzione delle evidenze scientifiche.
Lo screening neonatale esteso: come siamo messi in Italia?
Insomma, sulla carta i progressi in termini di diagnosi precoce sono numerosi ma, nella realtà, come stanno davvero le cose? Il terzo Rapporto ISTISAN 20/18 – Programmi di Screening Neonatale Esteso nelle Regioni e Province Autonome in Italia, elaborato dal Centro di coordinamento sugli screening neonatali in collaborazione con il Centro nazionale malattie rare dell’Iss, ritrae lo stato dell’arte al giugno 2019.
A questa data, lo Sne, eseguito mediante un semplice prelievo del sangue sul tallone del neonato entro le prime 48-72 ore di vita, è assicurato in tutta Italia, eccetto in Calabria. Nel dicembre 2019 si è approvato un protocollo d’intesa tra questa regione e la Campania, finalizzato alla realizzazione dello screening neonatale esteso per tutti i nuovi nati. Questo fa sì che i programmi Sne risultino avviati in tutte le Regioni.
Gli aggiornamenti necessari dello Sne
Dal 2016 non si è introdotta alcuna nuova malattia nello Sne, sebbene fosse prevista una revisione periodica. E se alla fine del 2020 le patologie che sarebbero potute rientrare nella lista nazionale (panel) di quelle ricercate attraverso lo screening neonatale esteso erano 7, oggi se ne contano addirittura 10:
- malattia di Fabry;
- la malattia di Gaucher;
- malattia di Pompe;
- la mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I);
- atrofia muscolare spinale (SMA);
- immunodeficienza ADA–SCID;
- adrenoleucodistrofia X-linked (X–ALD);
- immunodeficienza PNP–SCID;
- iperplasia surrenalica congenita;
- sindrome adrenogenitale.
Come fa sapere l’Osservatorio Malattie Rare – OMAR, per queste 10 malattie rare esistono dei test, già utilizzati a livello regionale e che hanno portato nel tempo a salvare la vita a decine di bambini. È il caso, ad esempio, di Lazio e Toscana che hanno esteso lo screening neonatale all’atrofia muscolare spinale (SMA), individuando 15 bambini con questa patologia su 92.000.
Tuttavia, solo con un inserimento nel panel nazionale si potrà raggiungere l’uniformità in tutta Italia, e dare così le stesse opportunità a ogni bambino. Opportunità che Ettore, un bimbo nato nell’ottobre 2023 all’ospedale Santorso, in provincia di Vicenza, non ha avuto: qui, infatti, non veniva effettuato lo screening neonatale per la SMA, malattia di cui era affetto. A causa di questo vuoto sanitario, la malattia non gli è stata diagnosticata tempestivamente e il neonato è mancato dopo solo un mese di vita.
Nel dicembre 2023, sessantacinque associazioni e federazioni hanno sottoscritto una lettera-appello al Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, al Ministro della Salute Orazio Schillaci e al Sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato per rendere operativo lo Sne anche per le patologie che sono state ritenute ammissibili dal Gruppo di Lavoro nominato dal Ministero stesso.
Malattie rare: i Centri di riferimento
«In caso di esito positivo allo Sne, il centro screening richiama i genitori per eseguire ulteriori accertamenti: lo screening neonatale, infatti, pone un sospetto diagnostico ma per avere conferma può essere necessario approfondire con esami del sangue e delle urine e talvolta test genetici. Una volta accertata l’effettiva presenza di una delle patologie sottoposte al test, bisogna procedere immediatamente alla presa in carico del bambino nel Centro di riferimento, cioè una struttura riconosciuta dalla Regione sulla base dell’esperienza diagnostica e terapeutica maturata per una o più patologie rare», puntualizza Russo.
Questi poli sono dedicati «alla formulazione della diagnosi, all’erogazione delle prestazioni finalizzate al trattamento, alla prevenzione e alla sorveglianza delle malattie rare», come fa sapere il Ministero della salute (per cercare un Centro, clicca qui).
Il problema dei ritardi diagnostici
Nei Centri di riferimento regionali dovrebbero essere indirizzati anche quei pazienti che, in età adulta, ricevono un sospetto diagnostico di malattia rara da parte del medico di famiglia o dello specialista. Purtroppo ciò non sempre accade: tra la prima manifestazione dei sintomi e la conferma diagnostica, infatti, si interpongono spesso numerose visite da un dottore all’altro alla ricerca di risposte esaustive e confortanti, cosicché il paziente arriva tardi nella struttura di riferimento per la sua malattia.
«Dietro ai ritardi diagnostici ci sono diverse problematiche che contribuiscono ad alimentare questo fenomeno», continua l’endocrinologo. «Va detto innanzitutto che le patologie rare si manifestano, il più delle volte, con sintomi sfumati, poco caratteristici e facilmente confondibili con quelli relativi a malattie ben più comuni, traendo così in inganno chi dovrebbe riconoscerli rapidamente».
Per questo a molti pazienti vengono somministrate terapie errate, che non migliorano in alcun modo il quadro clinico ma, anzi, rischiano di aggravarlo. La sintomatologia viene individuata e circoscritta a fatica anche perché spesso le conoscenze scientifiche sono insufficienti.
I farmaci orfani
Sebbene non esistano cure specifiche per tutte le patologie rare conosciute, ci sono comunque numerose terapie in grado di rallentare la progressione della malattia. In questo contesto si inseriscono i cosiddetti farmaci orfani che, stando alla definizione dell’Aifa, sono prodotti medicinali destinati alla diagnosi, alla prevenzione o alla cura di malattie o disturbi rari.
«Si chiamano orfani perché, in condizioni normali di mercato, le aziende farmaceutiche sono poco interessate a produrre e commercializzare prodotti destinati soltanto a un numero ristretto di pazienti», interviene Previtali. «I capitali investiti in questi farmaci, infatti, non si recupererebbero attraverso le vendite a causa della scarsa domanda. Tuttavia, i malati rari non possono in alcun modo essere esclusi dai progressi della medicina e dalle cure. Al fine di stimolare la ricerca e lo sviluppo di queste terapie, le istituzioni hanno previsto degli incentivi per le aziende che investono in questo settore».
Parte del merito va alle prime norme relative ai farmaci orfani introdotte negli Stati Uniti, con l’emanazione dell’Orphan Drug Act del 1983, e ai regolamenti promossi dall’Unione Europea, adottati anche nel nostro Paese. La normativa italiana, con la legge 189/2012, tutela la sperimentazione dei farmaci orfani e il loro ingresso sul mercato (per visualizzare l’elenco aggiornato dei farmaci orfani, clicca qui).
Malattie rare: terapie attualmente disponibili
Oggi nello scenario terapeutico ci sono diverse opzioni a disposizione degli specialisti.
Vecchie molecole riposizionate
«Negli ultimi anni si è cercato di capire il meccanismo per cui insorge una determinata malattia rara, in modo da identificare i bersagli giusti da colpire per contrastarne la progressione», spiega il neurologo. «In tal senso, sono state scoperte – e si continua a farlo – alcune molecole in grado di interferire con lo sviluppo di alcune patologie; queste vengono poi utilizzate per la realizzazione di nuovi prodotti farmaceutici o sono presenti in farmaci già esistenti e utilizzati per altre malattie».
In quest’ultimo caso si parla di un riposizionamento di un farmaco «vecchio» che, in base al suo meccanismo d’azione e a evidenze sperimentali e cliniche, viene riproposto per una nuova indicazione terapeutica, ovvero per la cura di una malattia rara.
Il caso del farmaco per le cardiomiopatie usato per la distrofia di Duchenne
«L’Ospedale San Raffaele è stato uno dei quattro centri europei a testare, ad esempio, un farmaco inizialmente pensato per il trattamento delle cardiomiopatie, e mai utilizzato in quell’ambito, su pazienti con distrofia di Duchenne, una patologia genetica rara che porta alla degenerazione progressiva delle fibre muscolari», continua Previtali.
«In questi individui l’assenza di una proteina, la distrofina, causa un accumulo di calcio che induce la morte delle cellule muscolari. Il farmaco in questione, che ha superato le sperimentazioni cliniche e ha ricevuto la designazione di “orfano” dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema), interviene in questo processo, impedendo al calcio di entrare nella cellula. Se funzionerà nella Distrofia di Duchenne lo sapremo con i prossimi studi clinici di tipo 2 (che valutano l’efficacia di un farmaco)».
Oligonucleotidi antisenso e terapie enzimatiche e ormonali sostitutive
Può anche capitare di scoprire che un medicinale già esistente sortisca degli effetti positivi su una malattia rara ma non sia sufficientemente potente: a questo punto, sulla base di questo farmaco riposizionato se ne sviluppa uno nuovo, ancor più sofisticato e specifico.
Tra i trattamenti disponibili attualmente troviamo anche gli oligonucleotidi antisenso, molecole che aiutano i geni «malati» a produrre delle proteine funzionanti, e le terapie enzimatiche e ormonali sostitutive, che mirano a rimpiazzare o supplementare gli enzimi e gli ormoni naturali carenti o assenti, spesso attraverso infusioni endovenose.
Gli Advanced therapy medicinal products
Nell’ambito della ricerca scientifica e biotecnologica, ecco che troviamo gli Advanced therapy medicinal products (Atmp), cioè prodotti medicinali di terapia avanzata. Si tratta di strumenti di cura estremamente innovativi, basati su materiale genetico, cellule staminali e tessuti, che offrono nuove opportunità terapeutiche per le malattie rare, preziose soprattutto laddove i trattamenti convenzionali si sono dimostrati inefficaci o sono del tutto assenti.
Terapia genica
«La terapia genica è una strategia terapeutica che ha l’obiettivo di trattare le malattie causate da geni difettosi, reintroducendo nelle cellule dell’organismo un gene o una porzione di gene che vadano a sopperire la mutazione, per modificare il decorso della malattia», spiega Previtali.
Terapia cellulare
«La terapia cellulare, invece, si basa sull’utilizzo di cellule staminali che, prelevate dal paziente stesso o da un donatore compatibile, possono entrare nel tessuto danneggiato e ripristinarne la funzionalità o innescare, a loro volta, meccanismi molecolari e cellulari terapeutici sul tessuto danneggiato». Queste terapie cellulari si sono dimostrate molto efficaci nelle malattie del sangue o della pelle, e si spera che in futuro lo possano essere anche per malattie di altri organi.
Chi ha malattie rare riconosciute ha diritto all’esenzione del ticket
A causa della natura intrinseca di queste condizioni, poco conosciute e spesso prive di una terapia specifica, il Servizio sanitario nazionale prevede particolari forme di tutela per chi ne è affetto. «Oltre alla creazione di una rete nazionale e regionale dedicata alle malattie rare, nella quale rientrano appunto i Centri di riferimento dei quali si parlava poco fa, il Ssn ha regolamentato anche l’esenzione dalla partecipazione al costo di tutte le prestazioni sanitarie, necessarie per la diagnosi e il trattamento», conclude Russo.
Con l’approvazione del Decreto ministeriale 279/2001, infatti, si è pubblicato un primo elenco di malattie rare che hanno diritto all’esenzione del ticket, che in seguito hanno ampliato.
Il numero verde dell’Istituto Superiore di Sanità
L’esenzione dev’essere richiesta all’Azienda sanitaria locale di residenza, presentando una certificazione con la diagnosi di una o più malattie rare incluse nell’elenco, rilasciata da uno dei Centri di riferimento (per saperne di più, clicca qui).
Infine, il Centro nazionale malattie rare dell’Iss ha istituito e gestisce il Telefono Verde Malattie Rare, gratuito sia da telefono fisso sia da cellulare. Chiamando il numero 800.896949, attivo da lunedì a venerdì dalle ore 9 alle ore 13, si possono ricevere informazioni su malattie, esenzioni, centri di riferimento, associazioni pazienti e percorsi terapeutico-assistenziali disponibili sul territorio nazionale. Per i residenti all’estero che non possono utilizzare il numero verde e per le persone non udenti è attiva la mail tvmr@iss.it.
L’importanza delle associazioni
Quella del Covid-19 è stata una delle prove più critiche e delicate per i malati rari e i loro familiari. I pazienti hanno dovuto sospendere visite di controllo e terapie per non frequentare le strutture sanitarie maggiormente esposte al rischio di contagio. Oltre a ciò, hanno anche dovuto limitare le relazioni sociali, che rappresentano spesso un tassello imprescindibile nel loro percorso terapeutico.
«In questo contesto assume ancor più importanza il lavoro svolto dalle numerose associazioni che, con le loro battaglie quotidiane, vanno spesso a supporto dell’intero sistema socio-sanitario», interviene Margherita Gregori, vicepresidente di Uniamo FIMR Onlus. In piena pandemia questa Federazione, che comprende 140 associazioni sparse su tutto il territorio, si è fatta promotrice di tante preziose iniziative, come ad esempio Rari&Smart.
Si tratta di una smart city intelligente, cioè una piazza comune dove i singoli sopraggiungono per comunicare, scambiare opinioni, divulgare informazioni, rendere pubblici testi, notizie, pubblicazioni. In questa piattaforma sono presenti anche il servizio di ascolto, informazione e orientamento per le malattie rare, cioè il numero verde 800.662541, e una sezione di tele-consulto informativo e psicologico, in modo che il malato possa anche essere supportato moralmente nel suo percorso.
Inoltre, grazie alla chatbox è possibile avere un contatto diretto e veloce con la Federazione per chiedere supporto o contatti per la patologia di riferimento. Per cercare un’associazione di pazienti, invece, si può sfruttare la banca dati messa a disposizione del Ministero della salute.