A Luigi Marfè (30 anni, di Napoli) è stata diagnosticata la sindrome di Tourette dopo che, a 18 anni, i suoi tic si sono aggravati fino a limitare la sua vita sociale. A 25 anni ha iniziato una terapia che gli ha permesso di controllarsi e di ridurre la tensione. Ecco la sua testimonianza per OK salute e benessere.
«Tic di ogni genere e atti violenti. Questo ero io fino a non molto tempo fa. Una forma tra le più gravi di sindrome di Tourette mi ha costretto, a soli 20 anni, a vivere confinato nella mia camera lontano da ogni attività sociale.
Distruggevo tutto quello che mi capitava a tiro e nella foga non risparmiavo neppure il mio corpo. Solo oggi ho una vita come tutti gli altri. Finalmente. Ci sono voluti due anni di cure.
Dopo la morte di mio nonno, i tic che avevo sempre avuto, ma che fino a 18 anni non mi avevano mai dato grossi problemi, si accentuarono e furono accompagnati anche da pensieri ossessivi associati a compulsioni (azioni particolari o rituali da eseguire) che avevano il fine di neutralizzare l’ossessione.
Avevo tic motori esagerati, rompevo tutto, davo calci e spinte a chiunque mi capitasse davanti, e anche i tic vocali mi tormentavano costringendomi a emettere degli strani versi in maniera incontrollata.
Fu allora che al Policlinico di Napoli mi diagnosticarono la sindrome di Tourette, ma i trattamenti farmacologici prescritti portavano solo a risultati parziali e non duraturi.
La situazione era diventata talmente seria da limitare la mia vita sociale. Non guidavo più, non riuscivo ad andare a scuola e vivevo chiuso in una stanza, che avevo interamente devastato, costretto a cibarmi con posate e piatti di plastica. Vista la mia condizione, mi fu addirittura proposto un intervento sperimentale al cervello.
La prima terapia in palestra
Il mio era un caso quasi disperato, molto raro, ma per il quale i medici e i riabilitatori dell’associazione «Sindrome di Tourette – Siamo in tanti» hanno ottenuto degli ottimi risultati grazie a una terapia neuroriabilitativa abbinata all’impiego di farmaci specifici. Un cammino lungo, mica uno schiocco di dita.
In palestra, disteso sul tappeto, ho affrontato un lavoro fisico certosino per addomesticare gli scatti muscolari, basato su movimenti pilotati delle braccia e delle gambe. Naturalmente l’aiuto farmacologico c’era (con gli antidepressivi) cui si aggiungeva una dieta ricca di liquidi.
Tenere un diario ha ridotto la tensione
Ce la mettevo tutta e a un certo punto ho iniziato la terza fase della terapia, quella della scrittura. Sul foglio bianco ho affrontato temi profondi e ho elaborato una personale teoria sulla mia condizione. Ho annotato costantemente quello che facevo e ciò che mi veniva in mente.
Scrivere in base a una procedura guidata mi ha aiutato, così, a smontare le mie preoccupazioni e diminuire la tensione per gestire al meglio ogni situazione. E anche a combattere quei pensieri che si traducevano automaticamente in azione, oltre che quelle finte esigenze che mi spingevano ad adottare dei comportamenti distruttivi.
Parlare con i miei genitori è stato di grande aiuto. Perché, come mi hanno spiegato i medici dell’associazione, ogni problema individuale, specie di questa natura, è sempre anche un problema di gruppo familiare.
Per me è stata dura. Ma dopo un anno di trattamento sono perfino riuscito ad andare al matrimonio di un mio amico in Puglia. Una cosa banale per la maggior parte della gente, ma che per me era difficile da affrontare, circondato com’ero da una provocante sfilza di oggetti fragili (piatti, bicchieri, bottiglie, sedie…). E invece tutto è filato liscio.
Oggi anch’io posso vivere un’esistenza normale. Sono finalmente una persona indipendente, cerco un lavoro, gioco a calcio nel weekend, vado in palestra ed esco con gli amici. Come tutti gli altri».
Luigi Marfè
(testimonianza raccolta da Corinna Marrone Lisignoli per OK Salute e benessere)