Salute

Incontinenza urinaria: perché non si trattiene la pipì e quali sono i rimedi?

L’incontinenza urinaria femminile riguarda quasi 4 milioni di italiane. Non bisogna rassegnarsi e, affidandosi ai medici, si può trovare il rimedio più adatto

Nel bel mezzo di una riunione in ufficio, al cinema, per strada… Un fastidioso disturbo che fa capolino anche nei momenti meno opportuni, costringendo, non senza qualche imbarazzo, a correre in bagno. È l’incontinenza urinaria, ovvero la perdita involontaria di urina, un liquido prodotto dai reni e composto per il 95% da acqua e per il 5% da sostanze organiche, come urea, acido urico, creatinina, aminoacidi, e inorganiche, come sodio, potassio, calcio, magnesio.

Come si fa la pipì?

«Di norma, a partire dai reni, l’urina viene rilasciata in un condotto (uretere), attraverso il quale confluisce nella vescica, un “serbatoio” costituito da tessuto muscolare, collegato con l’esterno tramite un canale (uretra), avvolto da un anello muscolare (sfintere), che funziona come una valvola», spiega Diego Riva, uroginecologo dell’Istituto Clinico Villa Aprica di Como. «Mentre la vescica si riempie progressivamente, lo sfintere, coadiuvato dalla contrazione dei muscoli del pavimento pelvico, resta contratto, chiudendo l’uretra e impedendo fuoriuscite indesiderate. Quando la vescica è colma, alcuni nervi fanno arrivare il messaggio al cervello, che lo interpreta come stimolo a fare pipì. Allora lo sfintere e i muscoli del pavimento pelvico si rilassano, l’uretra si apre, la vescica si contrae e l’urina comincia a defluire (minzione). Una volta svuotata la vescica, lo sfintere si chiude nuovamente e il processo ricomincia».

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Qual è l’incidenza dell’incontinenza urinaria?

Il meccanismo appare naturale, ma è molto sofisticato. E, quando qualcosa non funziona a dovere, ecco la famigerata perdita che, secondo la Fondazione italiana continenza, interessa in Italia circa 5 milioni di persone. Colpisce soprattutto le donne (3,7 milioni contro 1,4 milioni di uomini), in particolare dopo i 60 anni, con una tendenza in continuo aumento, a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.

Quali sono le cause?

  • Nelle donne il tipo d’incontinenza urinaria più frequente (circa il 50% dei casi) è quella da sforzo, determinata dall’aumento della pressione dell’addome sulla vescica, che si verifica durante uno sforzo fisico, come sollevare le borse della spesa o salire le scale, ma anche in occasione di una risata, di un colpo di tosse, di uno starnuto. In genere, dipende da una scarsa tenuta dei muscoli del pavimento pelvico che circondano l’uretra, che possono risultare indeboliti in seguito al parto, ma anche a causa di stitichezza cronica, obesità, menopausa, invecchiamento.
  • Nel 15% circa dei casi, si verifica, invece, l’incontinenza da urgenza, caratterizzata da un impellente bisogno di urinare, provocato da contrazioni incontrollabili della vescica (vescica iperattiva), che spesso non consentono neppure di arrivare in bagno. Di solito, chi ne soffre è anche soggetto a un incremento della frequenza minzionale oltre le consuete 4-7 volte al giorno e alla necessità di urinare più volte durante la notte (nicturia). Questa condizione può insorgere senza un motivo preciso (idiopatica) oppure può far seguito a problemi neurologici (vescica neurologica), come ictus, sclerosi multipla, malattia di Alzheimer o altre demenze, morbo di Parkinson, o ancora a prolassi, ostruzioni, interventi chirurgici sugli organi vicini alla vescica, come ad esempio l’utero.
  • Infine, nel 35% circa dei casi è presente un’incontinenza urinaria mista, che consiste nella compresenza d’incontinenza da sforzo e da urgenza.

L’incontinenza non è “normale e inevitabile”: ai primi segnali bisogna andare dal medico

Nonostante la sua alta diffusione, l’incontinenza costituisce ancora una sorta di tabù, del quale si parla poco e mal volentieri, e su cui gravano vari luoghi comuni, tanto diffusi quanto errati, come, ad esempio, ritenere che, oltre una certa età, l’incontinenza sia «normale» e inevitabile e vada, quindi, accettata con rassegnazione. «I pazienti che commettono questo errore finiscono per limitare molto la propria vita quotidiana», stigmatizza lo specialista. «Evitano di frequentare luoghi sconosciuti per il timore di non trovare un bagno in fretta e riducono i contatti con gli altri, l’attività lavorativa, i rapporti sessuali per la vergogna. In questo modo, alimentano, però, un circolo vizioso, in cui crescono disistima, frustrazione, pensieri depressivi».

Molto meglio cercare di affrontare la questione di petto e, appena il disturbo fa capolino, anche se in forma lieve o sporadica, bussare alla porta del medico di famiglia. Quest’ultimo potrà indirizzare allo specialista urologo o uroginecologo, che, in collaborazione con il fisiatra, e in alcuni casi con il geriatra e il neurologo, aiuterà a tenere sotto controllo o sconfiggere, quando possibile, il problema.

Come si fa la diagnosi?

Dopo un’accurata visita, lo specialista, per inquadrare il disturbo, può servirsi del diario minzionale, una sorta di agenda sulla quale il paziente dovrà annotare, per almeno tre giorni consecutivi, l’ora in cui va a fare pipì, la quantità di urina emessa, le eventuali perdite e le cause che le hanno provocate. Inoltre, può prescrivere un’analisi delle urine e, se l’incontinenza è associata a difficoltà, dolore, bruciore durante la minzione o alla presenza di sangue nelle urine, un’ecografia delle vie urinarie. In alcuni casi può essere necessario effettuare gli esami urodinamici, indagini che analizzano nel dettaglio il funzionamento della vescica e dell’uretra e che sono costituiti da tre parti.

  • Flussometria: grazie a un apparecchio chiamato flussometro, valuta il flusso urinario, ovvero la quantità di urina che si espelle al secondo. In particolare, si analizzano il flusso massimo, la durata della minzione, la quantità di urina residua nella vescica (residuo post-minzionale).
  • Cistomanometria: registra la pressione all’interno della vescica durante il suo riempimento. L’esame viene effettuato inserendo piccoli cateteri nella vescica e riempiendola gradualmente di liquido.
  • Profilo uretrale: sonda, con l’aiuto di un catetere, la tenuta dello sfintere uretrale.

Incontinenza urinaria da sforzo lieve: le terapie

Gli accorgimenti da seguire

Una volta accertata la diagnosi, è possibile far fronte al disturbo in diversi modi, a seconda che si tratti d’incontinenza da sforzo, da urgenza o mista. Per l’incontinenza da sforzo, se il problema è molto lieve e agli stadi iniziali, alcuni accorgimenti possono essere utili per migliorare la situazione.

  • Mantenete o recuperate il peso forma, per evitare che i chili di troppo pesino sul pavimento pelvico e lo indeboliscano.
  • Bevete una giusta quantità di acqua (circa un litro e mezzo al giorno, pasti compresi). Da un lato, infatti, assumerne troppo poca rende l’urina più concentrata di sostanze che possono favorire irritazioni localizzate, dall’altro assumerne troppa costringe la vescica a un superlavoro accentuando il problema. Meglio, inoltre, rinunciare a caffè, tè, bevande alcoliche, che aumentano l’attività della vescica.
  • Seguite un’alimentazione varia ed equilibrata, ricca di verdura, frutta, cereali integrali, che contengono molte fibre, utili a mantenere la regolarità intestinale e a combattere l’eventuale stipsi, che costituisce uno stress per le strutture pelviche e per i nervi annessi. Attenzione a non eccedere con pepe, peperoncino, cioccolato, cibi acidi (come agrumi, pomodori, mirtilli), condimenti che contengono sostanze acide (come aceto, maionese, ketchup, salsa di soia), dolcificanti.
  • Spegnete la sigaretta. I fumatori sono più esposti a problemi di debolezza pelvica e a bronchiti ricorrenti, che aggravano l’incontinenza da sforzo.

Riabilitazione del pavimento pelvico

Oltre a seguire questi semplici consigli, chi soffre d’incontinenza da sforzo lieve o moderata può giovarsi della riabilitazione del pavimento pelvico, l’insieme dei muscoli che, proprio come una sorta di pavimento, chiudono in basso il bacino, sostenendo i visceri contenuti nell’addome. Si tratta di appositi esercizi di contrazione e rilassamento da eseguire secondo determinate sequenze, modalità e ritmi, in modo da restituire a questi fasci muscolari forza e tonicità. Condotti dapprima con la supervisione di un fisioterapista, possono poi essere svolti autonomamente a casa. In genere, vanno eseguiti una o due volte al giorno per 10-20 minuti per un mese, in seguito è sufficiente svolgerli due volte alla settimana per mantenere i risultati raggiunti.

Qualora la paziente avesse difficoltà a svolgere gli esercizi o necessitasse di un potenziamento dei risultati, può essere effettuata la terapia con elettrostimolatori, dispositivi che, tramite sonde vaginali, emettono impulsi elettrici che stimolano la contrazione dei muscoli del perineo. Sempre per rafforzare la muscolatura della zona e ottimizzarne la capacità di tenuta, è possibile utilizzare i coni vaginali, piccoli dispositivi di peso progressivamente crescente, da mantenere in vagina per 20-30 minuti al giorno. Oltre che nel trattamento del disturbo, questi tipi di ginnastica sono utili anche come prevenzione nelle persone più a rischio, come donne dopo la gravidanza o in menopausa oppure che manifestano un prolasso.

Intervento endoscopico

In qualche caso d’incontinenza da sforzo, ad esempio in donne molto anziane o in caso di recidiva, è possibile posizionare una sostanza volumizzante (bulking agent) composta da microparticelle plastiche nelle pareti dell’uretra, in modo da «ingrossarle» restringendo il canale e creando una sorta d’imbuto che riduca la perdita di urina. L’intervento viene effettuato con apposite siringhe, sotto la guida di uno strumento a fibre ottiche (cistoscopio) che permette allo specialista di visualizzare l’interno dell’uretra e della vescica. La procedura si esegue in day hospital, in anestesia locale, e richiede 3-4 giorni di riposo. Inizialmente è molto efficace (80-90% dei casi), nel tempo, però, l’efficacia scende al 40-60% perché il materiale iniettato tende a migrare nei tessuti circostanti. Tuttavia, in caso di necessità, il trattamento può essere ripetuto dopo sei mesi.

Incontinenza urinaria da sforzo grave: le terapie

Nei casi più gravi d’incontinenza da sforzo, che non ha ottenuto miglioramenti con le altre opzioni terapeutiche, la soluzione ideale è la chirurgia. «L’intervento attualmente più praticato, efficace nel 90% dei casi, è di tipo mininvasivo e si chiama TOT (Trans obturator tape)», chiarisce Riva. «Nel corso dell’operazione, che dura circa 15-20 minuti, il chirurgo pratica tre incisioni, della lunghezza di circa un centimetro ciascuna, una localizzata sotto l’uretra media, le altre due nella zona delle pieghe inguinali. Attraverso tali incisioni, introduce due aghi elicoidali, chiamati tunnellizzatori, e li fa passare attraverso le due aperture laterali all’interno della pelvi (forami otturatori). Grazie a questi strumenti, posiziona una piccola benda (tape) di tessuto sintetico autofissante al di sotto dell’uretra allo scopo di sostenerla, con un’azione tipo amaca, e di evitarne gli eccessivi movimenti, quando sollecitata da pressioni esterne».

L’intervento, che può essere eseguito in anestesia generale o regionale, cioè mediante una piccola iniezione di anestetico a livello della colonna vertebrale (iniezione spinale), ha un rischio di complicanze (costituite soprattutto da ematomi) molto basso. «Prevede un ricovero di uno o due giorni e un periodo di convalescenza di 30-40 giorni, durante il quale vanno evitati i lavori pesanti e le attività fisica e sessuale. In alcuni casi, in alternativa a questa tecnica, si può praticare un altro tipo di intervento chiamato TVT (Trans vaginal tape), in cui il chirurgo fa passare la benda, anziché attraverso i forami otturatori, dietro l’osso del pube. Quest’ultima procedura è oggi meno utilizzata perché gravata da qualche possibile complicanza in più rispetto alla TOT».

Incontinenza urinaria d’urgenza: le terapie

I farmaci

L’incontinenza da urgenza può innanzitutto essere contrastata con alcuni farmaci. I più usati sono i parasimpaticomimetici, tra cui ossibutinina, tolterodina, trospio cloruro, che hanno l’effetto di «rilasciare» la vescica, diminuendo gli spasmi e riducendo o eliminando lo stimolo impellente di urinare, con un’efficacia che varia dal 65 all’80% dei casi. Questi medicinali aumentano anche la capacità della vescica di contenere l’urina, incrementando così l’intervallo di tempo che intercorre tra uno stimolo urinario e il successivo. Di solito si assumono per via orale, ma sono anche disponibili sotto forma di cerotto (formulazione transdermica). Di recente, sono stati introdotti nuovi medicinali, i beta 3 mimetici, che hanno anch’essi l’effetto di rilassare la muscolatura vescicale, diminuendo così le contrazioni della vescica e presentano minori effetti collaterali.

La tossina botulinica

Nel caso questi medicinali non fossero sufficienti ad arginare il problema, è possibile impiegare, soprattutto nelle pazienti con lesioni del midollo o sclerosi multipla, la tossina botulinica A, una proteina prodotta dal batterio Clostridium botulinum, allo scopo di inibire l’eccessiva attività dei muscoli della vescica. La sostanza viene iniettata tramite iniezioni multiple (da 20 a 30 circa) nelle pareti vescicali, sotto la guida di un cistoscopio. La procedura, che nel 70% delle pazienti migliora i sintomi e nel 30% li risolve, viene eseguita in day hospital, in anestesia locale. Può essere ripetuta, in caso di necessità, dopo sei mesi. Tra le possibili reazioni avverse, che tuttavia si manifestano in una minoranza di casi, si annoverano infezioni delle vie urinarie e ritenzione urinaria.

La neuromodulazione

In alcuni centri specializzati, per contrastare l’incontinenza da urgenza e i problemi alla vescica di origine neurologica, viene praticata la neuromodulazione sacrale, un intervento chirurgico mininvasivo introdotto nella metà degli anni Novanta, finalizzato a modulare, con correnti elettriche a bassa intensità, i nervi coinvolti nel controllo della vescica, dell’uretra e dei muscoli del pavimento pelvico, ripristinandone il corretto funzionamento.

La procedura, che si esegue in anestesia locale, consta di due fasi. Nella prima, quella di prova, viene inserito nella regione sacrale, tramite una piccola incisione, un elettrodo, collegato a un generatore di impulsi esterno, indossato su una cintura, allo scopo di valutare l’efficacia della terapia. Nella seconda, quella definitiva, viene rimossa l’estensione provvisoria e viene impiantato, sotto la pelle dell’addome, una sorta di pacemaker della vescica, da azionare tramite un telecomando esterno. Tra le possibili complicanze, che si manifestano tuttavia in rari casi, si annoverano dolore, irritazione, infezione nel sito di impianto del dispositivo.

Incontinenza urinaria: gli assorbenti

Dai classici pannolini agli slip idrorepellenti, fino ai più ingombranti pannoloni. Un supporto aggiuntivo e complementare alla cura, che non deve tuttavia mai sostituirsi ai trattamenti stessi, sono gli ausili assorbenti. «Questi prodotti danno una risposta semplice e rapida ai problemi indotti dall’incontinenza», sostiene Riva. «La loro funzione è quella di contenere e assorbire al proprio interno le perdite di urina, riducendone gli effetti indesiderati, ovvero umidità a contatto della cute, fuoriuscite esterne che possono bagnare gli indumenti, diffusione di odori sgradevoli. Il primo aspetto, in particolare, è molto importante per mantenere l’integrità della pelle ed evitare problemi come arrossamento, macerazione, eruzioni cutanee e, in pazienti con ridotta mobilità, lesioni da pressione (piaghe da decubito)».

Come scegliere l’assorbente giusto?

Nel caso d’incontinenza lieve è indicato il pannolino sagomato leggero, simile per forma e dimensioni agli assorbenti per il ciclo femminile. Nel caso d’incontinenza da moderata a grave è consigliato lo slip assorbente elasticizzato monouso, mentre solo nel caso d’incontinenza gravissima in una persona non autonoma è necessario ricorrere al pannolone con fissaggio in cintura. Per poter personalizzare ulteriormente la scelta, per ciascuna tipologia sono disponibili vari livelli di assorbenza. Attenzione, però, a scegliere la taglia corretta, per assicurare le giusta aderenza e quindi l’efficacia del presidio. Gli assorbenti possono essere forniti direttamente dalle AST, previa apposita richiesta.

Incontinenza urinaria maschile

Sebbene siano meno colpiti rispetto alle donne, non ne sono certo immuni. Si calcola che l’incontinenza urinaria riguardi il 2-10% degli uomini, anche se pochi di loro sono disposti ad ammettere il problema, trincerandosi dietro una cortina di vergogna e imbarazzo. La tipologia d’incontinenza più frequente nella popolazione maschile è quella da urgenza (40-80% dei casi), seguita da quella mista (10-30%) e da quella da sforzo (meno del 10%).

Un tipo particolare d’incontinenza tipica degli uomini è poi quella da rigurgito, in cui si verifica un’ostruzione dell’uretra, dovuta all’ingrossamento della prostata (ipertrofia prostatica benigna), con un abbondante residuo di urina nella vescica dopo la minzione, che quindi trabocca. La perdita avviene di solito in modo continuo, a goccia a goccia, ed è presente sia di giorno sia di notte. In altri casi, l’incontinenza può essere la spiacevole «eredità» di un intervento di asportazione completa della prostata (prostatectomia radicale) effettuato per rimuovere un tumore, anche se le moderne tecniche chirurgiche rendono questo inconveniente sempre meno frequente.

Terapie conservative

  • Per i casi d’incontinenza più lieve esistono pannolini ad assorbimento anteriore, cioè con sagomatura a tasca o a conchiglia, che si adattano all’anatomia dell’uomo e s’indossano con la tradizionale biancheria intima. Nei casi più importanti si passa a pannoloni più grandi e sagomati oppure a pannolini integrati negli slip come i pull-up, fino ad arrivare, in casi selezionati, al cosiddetto condom, una guaina di lattice o silicone che aderisce al pene e raccoglie l’urina per convogliarla, attraverso un catetere, in una sacca attaccata alla gamba.
  • Dopo questi rimedi, si passa alla riabilitazione, ovvero a esercizi che, sulla base di protocolli personalizzati per ciascun paziente, permettono di allenare i muscoli del pavimento pelvico posizionati tra la base del pene e l’ano. A questi esercizi si può associare l’elettrostimolazione dei muscoli pelvici.

Intervento chirurgico

Se il problema persiste, si può valutare l’opportunità di un intervento con il bisturi.

  • Sling sottouretrali. Adatto ai casi meno gravi, consiste nel posizionare una striscia di materiale sintetico sotto l’uretra in modo da comprimerla, contribuendo così al recupero della continenza.
  • Sfintere urinario artificiale. Nei casi d’incontinenza più gravi, l’unica soluzione è lo sfintere artificiale. L’intervento consiste nell’impiantare, mediante un’incisione del perineo e un’altra dell’inguine, una protesi composta da tre parti: una cuffia intorno all’uretra che l’avvolge e la chiude; un serbatoio posto a lato della vescica, che trasmette gli incrementi di pressione nell’addome alla cuffia; una pompa di attivazione da posizionare nello scroto, che apre la cuffia consentendo l’apertura dell’uretra e quindi la minzione.

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