Salute

L’incontinenza fecale: cause, cure e intervento

La perdita involontaria di feci è spesso una conseguenza del parto: si può evitare il pannolone con l'operazione di neuromodulazione sacrale

Focus di Nicola Cracco, dirigente medico alla divisione di chirurgia generale dell’ospedale Sacro Cuore di Negrar (Verona)

Che cosa è l’incontinenza fecale? La perdita involontaria di feci, l’atto della defecazione che avviene senza controllo. Capita che a volte i muscoli o i nervi che controllano i movimenti degli sfinteri siano danneggiati e non funzionino bene. Se ciò riguarda lo sfintere anale, cioè l’anello muscolare attorno al canale dell’ano, si può verificare l’incontinenza fecale. Si tratta, in pratica, di perdite di feci, ma anche di aria, che si ripetono spesso e per un lungo periodo di tempo, mesi o anche anni. In alcune persone i sintomi sono più lievi, si limitano a piccole macchie sulla biancheria intima, mentre altre sono costrette a precipitarsi in bagno.

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CAUSE
A oggi, non tutte le cause dell’incontinenza fecale sono state appurate. Alla base del disturbo possono esserci vari motivi.
Incontinenza feci post parto. Uno dei più comuni è la lacerazione dei muscoli del pavimento pelvico e dei nervi in seguito a un parto difficile (distocico). In particolare, i fattori di rischio sono:
• prima gravidanza,
• elevato peso del neonato (superiore ai 4 chili),
• nuca rivolta verso la colonna vertebrale della madre (posizione occipito-posteriore),
• uso di ventose o forcipe.
L’entità degli effetti è variabile. Tra le donne che hanno partorito, il 10% presenta lacerazioni anali clinicamente rilevabili, il 30% circa sviluppa lacerazioni anali rilevabili con l’ecografia; il 10% sviluppa immediatamente disturbi della continenza, il 30% anche dopo decenni.
Incontinenza fecale post chirurgia. Interventi chirurgici per fistole, emorroidi, ragadi, ascessi possono danneggiare i muscoli causando incontinenza.
Altre cause. Un altro fattore all’origine dell’incontinenza fecale è il prolasso rettale, che si manifesta quando il retto si sposta dalla sua sede o si infossa su se stesso. Ma l’incontinenza fecale può essere anche conseguenza di alcune malattie come sclerosi multipla, spina bifida, ictus, morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson o patologie caratterizzate da diarrea cronica come il morbo di Crohn e la colite ulcerosa.
DIAGNOSI
Per diagnosticare l’incontinenza fecale e valutarne il livello di gravità vengono utilizzati, oltre a un accurato esame clinico da parte di un coloproctologo, tre strumenti:
• ecografia transanale, che accerta l’eventuale presenza di una lesione sfinterica;
• elettromiografia, che valuta l’innervazione dell’apparato sfinterico;
• manometria, che studia la pressione dell’apparato sfinterico e i riflessi presenti nella defecazione.

ALIMENTAZIONE
Dopo aver stabilito la diagnosi, il primo passo nella cura dell’incontinenza fecale è l’educazione alimentare. Per ridurre la perdita di feci e aria occorre abolire o ridurre drasticamente l’apporto di fibre (guarda i cibi che contengono più fibre), soprattutto insolubili, contenute in verdure, frutta, pane e pasta integrali, privilegiando, per esempio, riso e patate.

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I FARMACI
Per l’incontinenza fecale risulta utile la somministrazione di alcuni medicinali:
• farmaci che hanno il compito di ridurre la velocità del transito nell’intestino (peristalsi intestinale), come loperamide o codeina;
• farmaci che hanno il compito di aumentare la consistenza delle feci, con basse dosi di fibre solubili (psillio), pectina o medicine a base di caolino.

LA RIABILITAZIONE
Il terzo passo nella cura dell’incontinenza fecale è la riabilitazione, indicata se la lesione non è rilevante e se i nervi risultano integri. Si tratta di provare a potenziare la muscolatura di sfinteri e pavimento pelvico con esercizi ginnici specifici, eseguiti con la guida del fisioterapista.

LA CHIRURGIA
Se la cura nell’alimentazione, la terapia con i farmaci e la fisioterapia risultano inefficaci, si passa alla chirurgia, adatta per lesioni sfinteriche estese e con integrità dei nervi, sconsigliata nel caso di pazienti molto anziani, per i quali gli unici rimedi sono i pannoloni o l’ano artificiale (colostomia).
C’è quella tradizionale oppure la nuova tecnica, rapida e poco invasiva, chiamata neuromodulazione sacrale. Fa parte della chirurgia tradizionale contro l’incontinenza fecale un’ampia gamma di possibili interventi, di cui il principale è la ricostruzione sfinterica, che consiste nel sovrapporre i due lembi lacerati dello sfintere per poi suturarli. Un metodo efficace nell’immediato, che presenta però, dopo cinque anni, circa il 50% di recidiva. Ciò non avviene con la neuromodulazione sacrale, che sembra mantenere il risultato anche nel medio-lungo termine.

LA NEUROMODULAZIONE SACRALE
La neuromodulazione sacrale, una terapia introdotta nella metà degli anni Novanta, serve a correggere i messaggi inappropriati o erronei che dal cervello arrivano al retto, attraverso le vie nervose, provocando incontinenza fecale. Consiste nell’impianto nella zona sacrale di un elettrodo (una sorta di sottile cordoncino), collegato a un piccolo dispositivo, inserito sottocute nella parte superiore del gluteo, che ha la funzione di stimolare i nervi dello sfintere anale con impulsi elettrici, azionati da un telecomando che il paziente si porta dietro. Due i tempi del procedimento: la fase di test e la fase di impianto. Nella prima fase, viene inserito nella regione sacrale un elettrodo, collegato a un generatore di impulsi esterno. Quest’ultimo dispositivo viene indossato su una cintura.

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La procedura chirurgica viene effettuata in regime di day surgery in anestesia locale, con l’ausilio della fluoroscopia, e dura circa un’ora. Prevede delle piccole medicazioni, compatibili con le varie attività quotidiane. Lo scopo di questa fase, che dura almeno due settimane, è quello di testare la stimolazione, per valutare, attraverso l’analisi di un apposito diario compilato ogni giorno dal paziente, l’efficacia del trattamento.
Se la stimolazione di prova è risultata efficace (miglioramento superiore al 50% rispetto alla situazione iniziale), si procede alla seconda fase, nella quale, con un intervento della durata di circa 20 minuti, il dispositivo di stimolazione viene inserito sottocute nella parte superiore del gluteo, consentendo così la rimozione dell’estensione esterna provvisoria. Lo stimolatore, che è in pratica una sorta di pacemaker, dura in genere 5-6 anni; quando la batteria si esaurisce, deve essere sostituito. Se la fase di test risulta inefficace (ciò avviene nel 5-10% dei pazienti), si rimuove l’elettrodo. In tutti i casi, la cicatrice è quasi invisibile. Tra le principali complicanze, si possono verificare: dolore in sede di impianto, risultato terapeutico non ottimale, elettrodo non in posizione, infezione. Altre complicazioni, meno frequenti, sono: dolore in altre sedi (gamba, piedi), erosione della pelle, ematoma, cellulite, reazione allergica locale, disturbi del sonno. Le complicanze, tutte di lieve entità, vengono di solito trattate con riprogrammazione dello stimolatore, revisione dell’elettrodo, somministrazione di alcuni farmaci, come antidolorifici e antibiotici. Di regola, il controllo avviene, oltre che nel post intervento, a distanza di sei mesi.
L’intera procedura di neuromodulazione sacrale in caso di incontinenza fecale è a carico del Servizio sanitario nazionale (guarda i centri italiani specializzati nella neuromodulazione sacrale). La metodica può essere impiegata, oltre che per evitare la perdita delle feci, anche per la stipsi (60-70% di successo).
Nicola Cracco, dirigente medico alla divisione di chirurgia generale dell’ospedale Sacro Cuore di Negrar (testo raccolto da Paola Arosio)

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