Da cure prive di qualsivoglia evidenza scientifica ad articolate teorie complottiste, passando per fattori di rischio totalmente insensati, il web brulica di fake news in grado di promettere miracoli, sicurezze e guarigioni che la medicina spesso non può garantire. Nel 2019 la rete televisiva americana Nbc News ha condotto un’analisi sulle notizie false più cliccate e condivise in ambito salute e ne è emerso che, ancora una volta, il cancro è stato in assoluto il tema di disinformazione più popolare. Con l’aiuto di tre specialisti, ecco screditate alcune delle più (tristemente) note bufale sui tumori.
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L’uso prolungato del cellulare provoca il tumore al cervello
Il timore alla base di questa affermazione nasce dal fatto che i telefonini emettono onde elettromagnetiche a radiofrequenza (RF), una forma di energia che ha una banda di frequenza posta tra le onde radio a media frequenza e le microonde. Poiché il tessuto biologico è in grado di assorbirle e l’uso dei cellulari è sempre più massiccio, anche da parte dei più piccoli, la comunità scientifica si è chiesta se queste onde possano a lungo andare indurre effetti nocivi sul Dna favorendo, di conseguenza, lo sviluppo di tumori. «A mettere un primo punto alla questione è la Iarc, l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Oms, che nel 2011 classifica le onde a RF tra i “possibili cancerogeni umani”, assegnandole il grado 2B», interviene Saverio Cinieri, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), direttore oncologia medica e breast unit all’Ospedale di Brindisi e fondatore di PercontodiSmith, pagina Facebook creata per fare una corretta informazione sul cancro. «Per avere un’idea di tale definizione, si pensi che il grado 1 corrisponde a sostanze “sicuramente cancerogene” e il grado 2A a quelle “probabilmente cancerogene”. L’ente spiega che questa decisione dipende dal fatto che le evidenze di una possibile relazione tra le onde emesse dai cellulari e la comparsa di tumori cerebrali e di tumori benigni del nervo acustico sono davvero molto limitate».
Nessuna inversione di rotta rispetto a quanto dichiarato dalla Iarc emerge dalle ricerche che negli anni si sono succedute, con l’unica eccezione per il tumore del nervo acustico, il cui rischio sembrerebbe aumentare in minima parte. A confermare questi dati è il rapporto «Esposizione a radiofrequenze e tumori» curato recentemente da Istituto superiore di sanità, Arpa Piemonte, Enea e Cnr-Irea, che ha preso in esami gli studi pubblicati dal 1999 al 2017 sull’argomento. Il documento ribadisce che «in base alle evidenze epidemiologiche attuali, l’uso del cellulare non risulta associato all’incidenza di neoplasie nelle aree più esposte alle radiofrequenze durante le chiamate vocali» e che non si rilevano «incrementi dei rischi di tumori maligni o benigni in relazione all’uso prolungato dei telefoni mobili». Sebbene non esistano prove lampanti di un effetto cancerogeno delle onde a radiofrequenza emesse dai telefonini, il presidente dell’Aiom suggerisce di adottare qualche precauzione in più, come ad esempio indossare gli auricolari o parlare in vivavoce, evitare di utilizzare il dispositivo in auto o in treno e non tenere il cellulare acceso sul comodino durante la notte.
Il bicarbonato di sodio può curare il cancro
Il bicarbonato non svolge alcuna azione antitumorale sebbene ci sia qualcuno che, in passato, abbia sostenuto questa tesi. Tullio Simoncini è un ex medico che nel 2006 è stato radiato dall’Ordine e successivamente condannato per omicidio colposo ed esercizio abusivo della professione per aver somministrato per via endovenosa, in una clinica di Tirana, una presunta cura anticancro a base di bicarbonato a un paziente con tumore al cervello, poi deceduto per le gravi ripercussioni di questa sostanza sull’organismo. Questa sedicente terapia si basa sull’idea, del tutto infondata, che il cancro non sia altro che il fungo Candida albicans: secondo questa teoria, conosciuta con il nome del suo fautore, il micete verrebbe inglobato dal tessuto sano fino a formare delle masse tumorali mentre le metastasi sarebbero delle colonie fungine che si sono «staccate» dalla sede principale per intaccare altri organi e strutture.
L’ex medico non è giunto a questa conclusione conducendo sperimentazioni scientifiche ma basandosi sul fatto che, a suo dire, tutti i tumori sono bianchi come la Candida, cosa che è stata ampiamente smentita dalla comunità scientifica. E poiché la candidosi orale nei bambini, il cosiddetto mughetto, si risolve spesso con lavaggi di acqua e bicarbonato, Simoncini sostiene che tutti i tumori potrebbero essere trattati con la medesima sostanza, così da ottenere la distruzione delle colonie fungine responsabili della malattia tumorale. «Ciò non ha alcun fondamento scientifico: gli studi effettuati confermano non solo l’inefficacia del bicarbonato di sodio quale terapia antitumorale ma anche la sua tossicità se somministrato in dosi massicce e continuative perché in grado di alterare pericolosamente il pH corporeo», ribadisce Cinieri.
Le case farmaceutiche conoscono la cura per il cancro ma la tengono nascosta
Abbiamo imparato a conoscerli soprattutto in epoca recente, in particolare da quando il virus Sars-CoV-2 ha iniziato a diffondersi a macchia d’olio anche nel nostro Paese. Sono i famigerati complottisti, un fronte di dissidenti e scettici che fa della dietrologia un modello di vita. Se oggi a tenere banco è quasi esclusivamente il coronavirus, considerato un’operazione pianificata dai poteri forti per controllare i cittadini con la minaccia dell’infezione, in passato anche i tumori, e nello specifico le terapie oncologiche, sono stati oggetto di discussione tra queste frange della popolazione, attive soprattutto in Rete.
«La cura per il cancro esiste eccome, nascosta in qualche cassaforte blindata sorvegliata 24 ore su 24, ma le case farmaceutiche la occultano perché, per motivi commerciali, non hanno alcun interesse a eradicare la patologia» è la teoria complottistica che raccoglie più consensi, come testimonia l’analisi condotta dalla rete televisiva americana Nbc News. I giornalisti di questa emittente, infatti, hanno scoperto che la teoria dell’esistenza «nascosta» di una cura per il cancro è stata lanciata da Natural News, un sito di notizie false e «acchiappa-click», e ha generato 5,4 milioni di reazioni e interazioni da parte degli utenti della Rete, che a loro volta hanno condiviso questa bufala sui propri social network. «Purtroppo molte persone non percepiscono i continui, seppur lenti, progressi della ricerca contro il cancro o, addirittura, ritengono che non siano poi così soddisfacenti», commenta il presidente dell’Aiom.
Il rivestimento antiaderente delle pentole è cancerogeno
Il rivestimento antiaderente di pentole e padelle è costituito, oltre che da alluminio, da diversi strati di politetrafluoroetilene (PTFE), una sostanza composta da carbone e fluoro, in grado di non far attaccare i cibi alla superficie. Chi mette in guardia dall’utilizzo di questi tegami lo fa sostenendo la tesi secondo cui questo materiale possa rilasciare particelle dannose per l’organismo durante la cottura dei cibi a temperature più o meno elevate. «In realtà la comunità scientifica smentisce categoricamente questa teoria, ribadendo che il politetrafluoroetilene non è cancerogeno e non comporta alcun rischio per la salute dell’uomo», rassicura Luigi Ricciardiello, professore associato di gastroenterologia all’Università di Bologna e ricercatore Fondazione Airc. Tuttavia, alcuni rivestimenti antiaderenti commercializzati soprattutto in passato venivano realizzati anche con l’acido perfluoroottanoico (PFOA), una sostanza chimica classificata dalla Iarc come “possibile cancerogena per l’uomo”, quindi di grado 2B. «In effetti le ricerche condotte su animali di laboratorio hanno evidenziato un aumento del tasso di tumori nelle cavie esposte a PFOA, mentre dati certi sull’uomo ancora non ce ne sono», continua il gastroenterologo.
Lo ribadisce anche uno studio condotto negli scorsi mesi dall’organizzazione americana no-profit Environmental Working Group e dall’Università dell’Indiana, che ha preso in esame 26 composti, tra i quali anche l’acido perfluoroottanoico, per comprendere il legame tra queste sostanze e il cancro. Dai dati raccolti è emerso che molti di essi causano stress ossidativo, inibiscono la risposta del sistema immunitario e interagiscono con l’espressione del Dna ma non consentono ancora di stabilire definitivamente un nesso con l’insorgenza del tumore. Alla luce di questa incertezza, nel 2006 l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (Epa) ha avviato un programma per eliminare, entro il 2015, i prodotti contenenti questa sostanza e l’obiettivo, stando alle dichiarazioni, è stato raggiunto. Anche l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) si è mossa in tal senso, dichiarando che entro il 2020 sarebbero entrate in vigore restrizioni in merito all’immissione sul mercato di queste sostanze. Dunque le padelle e le pentole più recenti sono prodotti sicuri, che possono essere utilizzati seguendo alcune semplici regole: acquistare tegami di qualità, non surriscaldarli vuoti per non compromettere la stabilità dei materiali, eliminare quelli usurati e rovinati, leggere sempre le indicazioni fornite dal produttore.
Il forno a microonde è cancerogeno
Non vi è alcuna dimostrazione che l’uso di questo piccolo elettrodomestico nel cucinare e nel scaldare i cibi possa aumentare il rischio di cancro. In realtà i forni a microonde funzionano sfruttando l’interazione dell’alimento, in particolare dell’acqua e dei grassi contenuti in esso, con i campi elettromagnetici generati durante l’accensione. «Si tratta però di radiazioni a radiofrequenza, come quelle emesse dai telefoni cellulari, dotate di una bassa quantità di energia e non ionizzante», precisa Ricciardiello. «Ciò significa che, a differenza dei raggi X o di quelli UV, che appartengono alla categoria delle radiazioni ionizzanti, queste non sono abbastanza potenti per modificare il Dna umano».
Quando si utilizza il microonde, però, bisogna assicurarsi che non presenti alcun difetto o guasto in termini di schermatura perché, in questi casi, si potrebbe rischiare di scottarsi o addirittura ustionarsi a causa delle radiazioni emesse. Un’altra accortezza che si deve avere è quella di conservare sempre attentamente i cibi perché la cottura nel microonde potrebbe non eliminare tutta la carica batterica che questi alimenti contengono e provocare, quindi, disturbi gastrointestinali.
Tutte le muffe alimentari possono far venire il cancro
Nell’immaginario collettivo la muffa alimentare è dannosa per la salute dell’uomo, tanto da provocare disturbi e malesseri fisici di vario tipo. C’è però chi sostiene che tutte queste sostanze siano nocive a tal punto da essere cancerogene. «In realtà la maggior parte delle muffe alimentari non è pericolosa per l’organismo», assicura il gastroenterologo. «Tuttavia esistono alcuni funghi appartenenti alla famiglia degli aspergilli (Aspergillus flavus o Aspergillus parasiticus) che possono attaccare i cibi e rilasciare aflatossine, sostanze tossiche e cancerogene per il fegato. Queste si sviluppano soprattutto sui cereali, in particolare il mais, sui legumi, come soia e fagioli, sui semi oleaginosi, come le arachidi, sulle spezie, sulle granaglie e sulla frutta secca. Purtroppo le aflatossine non si vedono, sono incolori e non hanno alcun sapore, quindi risulta difficile individuarle a occhio nudo.
Per questo motivo il controllo dev’essere svolto a monte: tutta la filiera di coltivazione e produzione dev’essere monitorata attentamente per far sì che il consumatore non corra alcun rischio. L’Unione Europea ha quindi introdotto diverse norme per ridurre al minimo la presenza di aflatossine negli alimenti: allevatori e coltivatori vengono sottoposti regolarmente a controlli a campione. In una fase di conservazione casalinga del prodotto, comunque, bisogna rispettare la data di scadenza e applicare le giuste modalità di conservazione. Se notiamo tracce di muffa su questi alimenti, il consiglio è quello di non consumarli e di buttarli via. Questi funghi pericolosi, infatti, si sviluppano quando gli alimenti vengono conservati a temperature elevate (tra i 25 e i 32 gradi) e in ambienti con un tasso di umidità superiore all’80%».
Il tumore è frutto di un conflitto interiore, come sosteneva Hamer
Nel 2016 ha suscitato molto clamore la storia di una ragazza padovana, morta a 18 anni dopo aver rifiutato di ricorrere alla chemioterapia per curare la leucemia che le era stata diagnosticata l’anno precedente, quando era ancora minorenne. Alle terapie tradizionali, infatti, la studentessa aveva preferito il cosiddetto metodo Hamer (anche noto come Nuova medicina germanica), di cui lei e i suoi genitori (che nel 2019 sono stati ritenuti colpevoli di concorso in omicidio colposo e condannati a due anni di reclusione ciascuno, con la sospensione condizionale della pena) erano seguaci. L’ex medico Ryke Geerd Hamer, morto nel 2017, sosteneva che il tumore fosse frutto di un conflitto interiore del paziente, guaribile solo con la risoluzione del disturbo psichico stesso, quindi con sedute di psicoterapia e trattamenti omeopatici.
Stando a questo assunto, la ragazza italiana si sarebbe ammalata dopo aver vissuto due lutti inaspettati e particolarmente dolorosi. «Quelle di Hamer sono teorie totalmente infondate», taglia corto Ricciardiello. «Negli anni sono state condotte analisi molto approfondite sulla Nuova medicina germanica ma nessuna di esse ha portato alla validazione del “metodo”, tanto che l’Istituto elvetico per la ricerca oncologica applicata, l’Istituto nazionale per la salute e la ricerca medica francese e la nostra Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri hanno ufficialmente etichettato questa presunta terapia anticancro come fasulla e pericolosa». Già, affidarsi a questi rimedi alternativi è rischiosissimo perché non solo può portare a gravi ritardi nella terapia ufficiale, ma può anche aggravare in maniera irreparabile un quadro clinico non ancora compromesso. Chi decide di intraprendere questa strada mette in serio pericolo la propria vita.
Il talco incrementa il rischio di tumore all’ovaio
A sollevare nuovamente il dibattito su questo argomento è stata, qualche anno fa, una sentenza statunitense che ha condannato una nota azienda a risarcire i familiari di una donna morta di tumore all’ovaio per non aver segnalato sull’etichetta la possibile cancerogenicità del talco utilizzato dalla vittima per l’igiene intima. Stando alla decisione del tribunale, l’impresa avrebbe dovuto quantomeno riportare sulla confezione un avvertimento preventivo, visto che la Iarc ha definito la polvere di questo minerale come possibile cancerogeno umano a livello perineale, assegnandole il grado 2B. «Di fatto le ricerche condotte in questi anni non hanno dimostrato alcuna relazione tra l’uso, anche continuativo, del talco a livello genitale e l’aumento del rischio di tumore all’ovaio», conferma Vito Trojano, coordinatore nazionale dei Gruppi di interesse scientifico speciale di ginecologia oncologica della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), past president dell’Associazione degli ostetrici e ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi) e consulente per la ginecologia oncologica presso il Mater Dei Hospital di Bari.
«Gli studi svolti in questo senso sono numerosissimi; l’ultimo in ordine cronologico è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Jama nel gennaio 2020 e condotto da un gruppo di ricercatori statunitensi, che ha analizzato i dati di quattro precedenti lavori americani svolti su 252.745 donne. Dai risultati non è emersa alcuna associazione statisticamente significativa tra l’uso del talco sui genitali e il rischio di tumore ovarico. Quindi chi ha usato il talco nell’igiene intima non ha motivi per allarmarsi. Tuttavia, preventivamente suggerirei di limitarne l’utilizzo a livello perineale ed endovaginale».
Il deodorante aumenta il rischio di tumore al seno
Anche i deodoranti sono finiti spesso sotto accusa: c’è chi sostiene che i composti di alluminio e i parabeni contenuti in alcuni prodotti possano favorire l’insorgenza del cancro alla mammella. Quest’ultimo, infatti, si manifesta spesso a livello del quadrante superiore-esterno che, come affermano i fautori di questa bufala, è quello più vicino all’ascella e ai linfonodi «intasati» dai deodoranti. «In realtà a oggi non non vi è alcuna evidenza scientifica che dimostri che l’alluminio, che inibisce le ghiandole sudoripare e limita la proliferazione dei batteri, e i parabeni, utilizzati come conservanti, siano fattori di rischio per il tumore al seno», interviene il ginecologo.
Uno studio americano pubblicato nel 2002 sul Journal of the National Cancer Institute ha preso in esame un gruppo di 813 donne con tumore mammario diagnosticato tra il 1992 ed il 1995 e un gruppo di 793 donne sane, tutte di età compresa tra i 20 e i 74 anni. «Confrontando la frequenza dell’uso di deodoranti nei due gruppi, i ricercatori hanno dimostrato che non esiste alcuna associazione tra l’uso di prodotti antitraspiranti e un aumentato rischio di sviluppare tumore della mammella», conclude Trojano. «Nel 2016 è stata pubblicata anche una revisione di tutti i lavori pubblicati sull’argomento, che ha confermato l’assenza di relazione tra i deodoranti e il rischio di cancro».
La pillola contraccettiva favorisce il tumore all’ovaio
È uno dei luoghi comuni più duri a morire, nonostante le ricerche scientifiche condotte in merito a questo contraccettivo orale parlino chiaro: la pillola non favorisce l’insorgenza del tumore all’ovaio. «Semmai è stato dimostrato il contrario, cioè che gli anticoncezionali estro-progestinici svolgono addirittura un’azione protettiva nei confronti di alcuni tumori», afferma il ginecologo. «In particolare, stando a una ricerca condotta dall’Università di Milano in collaborazione con l’Istituto Mario Negri pubblicata su Annals of Oncology, l’uso della pillola ha ridotto i decessi per carcinoma ovarico nel decennio 2002-2012 in tutto il mondo. In Europa, infatti, la mortalità si è abbassata del 10% e negli Stati Uniti addirittura del 16%». Anche un corposo studio danese del 2017 ha confermato questa tendenza e ha aggiunto ulteriori dati: le donne che usano un contraccettivo orale hanno un rischio del 30% in meno di sviluppare un tumore all’endometrio rispetto a chi non lo assume e un 15-20% in meno di andare incontro al cancro del colon-retto.
I siti attendibili per smascherare le bufale sui tumori
Quelle proposte all’interno di questo articolo sono solo alcune delle bufale più conosciute, cliccate, condivise e discusse in ambito oncologico. Purtroppo ce ne sono molte altre, tanto bizzarre quanto pericolose. A smascherarle ci pensano clinici e ricercatori in due spazi virtuali diversi, seppur simili. Il primo è il portale Tumore, ma è vero che?, realizzato da Fondazione Aiom per contrastare la disinformazione dilagante sul cancro attraverso «smentite ufficiali, certificate, tempestive e autorevoli», come sottolinea la presidente Stefania Gori. Il secondo è la sezione Facciamo chiarezza dell’Airc, che raccoglie una nutrita selezione di fake news sul tumore, sbugiardate da ricerche scientifiche e sperimentazioni cliniche.