Salute

La Neurofibromatosi 1 potrebbe essere confusa con la sindrome di Legius

A volte fin dalla nascita si presentano delle macchie scure sulla pelle che con il tempo tengono ad aumentare, a volte invece a questo sintomo si accompagna anche la comparsa di bozzette dure sulla pelle, in qualsiasi parte del corpo. Nei peggiori casi questi fibromi colpiscono anche gli organi interni e non raramente devono essere rimossi perché causano problemi, e per farlo servono dei chirurghi plastici molto esperti.

A volte fin dalla nascita si presentano delle macchie scure sulla pelle che con il tempo tengono ad aumentare, a volte invece a questo sintomo si accompagna anche la comparsa di bozzette dure sulla pelle, in qualsiasi parte del corpo. Nei peggiori casi questi fibromi colpiscono anche gli organi interni e non raramente devono essere rimossi perché causano problemi, e per farlo servono dei chirurghi plastici molto esperti.

E’ la neurofibromatosi tipo 1 (NF1), una malattia genetica rara, facilmente trasmissibile a livello ereditario e che può appunto presentarsi con diversi gradi di gravità differenti anche nella stessa famiglia. In alcuni casi la malattia può presentarsi solo con le macchie caffelatte (CAL) sulla pelle, ed è proprio in questi casi qui che oggi potrebbe sorgere un dubbio relativamente alla diagnosi. Recentemente, infatti, è stata individuata una nuova sindrome che con alcune forme di NF1 ha grandi somiglianze ma che è legata ad una mutazione genetica differente: si chiama Sindrome di Legius.

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A causarla è una mutazione a carico del gene SPREDA1 localizzato sul cromosoma 15 in regione q13.2 (15q13.2), una mutazione diversa da quelle che invece sono state identificate per la NF1. Le caratteristiche di questa nuova malattia sono sovrapponibili a quelle cutanee pigmentarie di NF1 al punto che la malattia viene anche chiamata sindrome NF1-like ed è dunque caratterizzata dalla presenza di macchie CAL cutanee e lentigginosi inguinale e ascellare ma non c’è in questi casi la predisposizione a neurofibromi o sviluppo di tumori.

Secondo quanto riportato in un recente nel documento elaborato dalla rete della Lombardia per le malattie rare «Viene stimato che circa l’1 – 2 per cento dei soggetti che presentano una diagnosi clinica di NF1, sono in realtà affetti da sindrome di Legius. Tale percentuale aumenta drasticamente (fino al 50 per cento) se si considerano i soggetti di diagnosi con NF1 basata sulla sola presenza di lesioni pigmentarie, soprattutto se di età superiore ai 10 anni». Naturalmente su questo dovranno essere fatti ulteriori studi perché la sindrome di Legius è di scoperta molto recente.

Resta il fatto che per nessuna delle due sindromi esiste una terapia farmacologica, i pazienti devono sottoporsi a frequenti interventi di chirurgia plastica ricostruttiva e subiscono il peso di questa malattia che tocca direttamente l’immagine di una persona, soprattutto quando i fibromi sono molti ed interessano anche il viso. «Andare a lavorare? Non se ne parla, nessuno assume una come me – racconta infatti Daniela, che a 50 anni non ha mai avuto un impiego regolare – Chi vorrebbe una che ogni tanto deve assentarsi per visite e interventi e che non può essere messa a contatto con il pubblico per una questione di immagine? Ho già fatto 16 o 17 interventi di chirurgia plastica ricostruttiva, e allo stato attuale dovrei farne almeno altri 3 o 4. Crescendo sono iniziati a comparire i neurofibromi, che sono come dei piccoli capezzoli. Quando facevo le elementari la cosa ormai era evidente». I neurofibromi però non si sono limitati a colpire la sua pelle, si sono estesi anche a livello di organi interni e uno in particolare, al cervelletto, ha inciso molto sulla sua vita.

«Ho fatto le scuole medie in provincia, negli anno ‘70, avevo dei problemi di apprendimento e non ho potuto proseguire gli studi, non c’era alcuna assistenza. E sempre per i neurofibromi al cervelletto non posso guidare, potrei essere un pericolo. Però io non mi sono arresa, ho cercato di migliorare da sola la mia istruzione e ho fatto molti corsi, però un lavoro serio non l’ho mai trovato. Ora faccio la badante ad una donna anziana, ci dormo anche, sono 4 anni che non esco di domenica, ma tanto guadagno così poco che sarebbe anche difficile. In passato poi ho fatto la babysitter, la telefonista in call-center, ma sono state tutte cose saltuarie. Ho provato anche a farmi assumere in ditte di pulizie, laboratori artigianali, magazzini, ma nessuno mi ha mai voluto».

Niente lavoro dunque, ma anche niente famiglia: a causa della malattia Daniela ha rinunciato anche all’idea di un figlio. «Ci sarebbero state il 50 per cento delle possibilità che fosse malato, e chissà con che gravità, poteva anche stare peggio di me. Non parliamo poi di adozioni e affidamento, nessuno darebbe un bimbo a una donna che deve sottoporsi spesso ad interventi chirurgici. Nonostante tutto non voglio farmi limitare più del minimo, io voglio vivere. Però conosco altri che finiscono per chiudersi in casa, sono rassegnati».

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