Ipotermia nei neonati. L’ipossi-ischemia è una riduzione dell’ossigenazione (ipossia) e circolazione (ischemia) fetale causata da una riduzione di apporto di sangue dalla mamma al feto.
«È un evento raro (cinque casi ogni mille parti nei Paesi avanzati), ma è una delle principali cause di mortalità neonatale e di disabilità neurologica nei bambini». Gianluca Lista è direttore del reparto di neonatologia e terapia intensiva neonatale dell’ospedale Vittore Buzzi di Milano. «Spesso non sappiamo perché e quando si verifica: dei casi di encefalopatia rilevati alla nascita, solo un terzo è collegabile al parto».
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Quali sono i fattori di rischio dell’ipossi-ischemia?
Fattori di rischio. Se la mamma soffre di diabete o ipertensione o se è una forte fumatrice è più probabile che si verifichino anomalie della placenta, l’organo che permette l’ossigenazione e lo scambio di sangue fra mamma e feto.
Un’anomalia nella risposta cardiaca del feto alle contrazioni del travaglio (rilevata tramite il cardiotocografo); liquido amniotico tinto di meconio (il feto in sofferenza rilascia lo sfintere anale e libera meconio nell’utero materno).
Quali sono le conseguenze?
Dipendono dal grado e dalla durata del danno ipossico-ischemico. Viene ritenuto severo con un punteggio Apgar (valutazione dello stato di benessere del neonato) inferiore a 7 a cinque minuti dalla nascita, o con un pH del sangue inferiore a 7 alla nascita. I rischi più seri sono:
- paralisi cerebrale,
- disabilità motorie a lungo termine;
- convulsioni neonatali.
«Ai genitori di questi bambini viene richiesta molta pazienza. La prognosi viene sciolta definitivamente solo dopo una lunga sorveglianza da parte di vari specialisti, fino all’ingresso alle elementari, quando possono essere valutate le abilità motorie, grafiche, di lettura, calcolo e linguaggio».
Ipotermia nei neonati: come funziona?
L’ipotermia: è una tecnica d’avanguardia che permette di limitare il danno sin dai primi momenti di vita del neonato. «Si porta la temperatura corporea da 37 a 34-35 gradi entro le prime sei ore di vita e per tre giorni, poi lo si riscalda pian piano», conclude Lista. «In questo modo si mettono a riposo le cellule e si riduce il fabbisogno energetico».