«Saranno dieci anni che non prendo l’influenza!», si vanta qualcuno. Forse dieci no, ma almeno cinque anni tra un contagio e l’altro potrebbero davvero essere trascorsi. E’ la tesi di una ricerca dell’Imperial College di Londra, pubblicata in questi giorni sulla rivista PLOS One e che fa chiarezza sulla reale vulnerabilità al virus dell’influenza della popolazione adulta. Un dato utile, specificano i ricercatori inglesi, per prevedere con maggiore accuratezza le epidemie stagionali e il loro andamento anno dopo anno.
A differenza di bambini e adolescenti messi a letto dall’influenza almeno una volta l’anno, per un adulto sano in assenza di patologie acute o croniche il virus influenzale non sarebbe così minaccioso e arriverebbe a colpire in media solo un paio di volte nell’arco di un decennio. Per giungere a questa conclusione, il team inglese ha ricercato anticorpi specifici contro nove ceppi di virus influenzale in campioni di sangue raccolti tra il 1968 e il 2009 da volontari nella Cina meridionale. «Esiste un dibattito acceso riguardo alla frequenza con cui le persone si ammalano di influenza, in confronto a manifestazioni simil-influenzali indotti da altre cause», chiarisce il ricercatore Adam Kucharski che ha collaborato alle indagini. «Abbiamo dimostrato come l’immunità di un individuo si costruisce in una vita di esposizioni alle infezioni influenzali». Una volta entrato in contatto con il virus influenzale il sistema immunitario reagisce producendo anticorpi specifici, per contrastare l’infezione acuta, e che rimangono in tracce nel sangue: si crea così una sorta di memoria immunitaria che consente all’organismo di riconoscere il virus quando lo incontrerà di nuovo.
Stando a questi risultati, quindi, a mettere più spesso ko la popolazione adulta sarebbero invece altri virus, come rinovirus o coronavirus, responsabili del comune raffreddore, tosse, mal di testa e febbre. Sintomi spesso confusi con l’influenza.