Se il tumore della prostata viene scoperto in fase precoce e si interviene con le terapie adeguate, la possibilità di guarigione è altissima: oltre il 90%. «Per questo è fondamentale, dopo i 50 anni (o dopo i 45 , se vi è una familiarità per tumore prostatico), sottoporsi a una visita annuale dall’urologo e ai seguenti esami», spiega Ottavio De Cobelli, direttore della divisione di urologia all’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano.
ESPLORAZIONE RETTALE: il medico, con la mano coperta da un guanto lubrificato, introduce un dito attraverso l’ano, nel retto del paziente, per vagliare volume e consistenza della prostata, nonché l’eventuale presenza di noduli sospetti. Se lo ritiene opportuno, prescrive o esegue lui stesso anche un’ecografia prostatica transrettale, utilizzando una sottile sonda introdotta nel retto.
IL PSA: è l’antigene specifico prostatico, una molecola prodotta solo dalle cellule della prostata, e si misura attraverso l’analisi del sangue. Di per sé, valori alti di questo marcatore non significano che è presente un tumore. Il Psa, infatti, può crescere se il volume della ghiandola aumenta in seguito a processi infiammatori o alla pratica sportiva, o anche in seguito all’attività sessuale. Quello che generalmente viene considerato più importante nella valutazione del Psa, e nella possibile presenza di cellule tumorali, è l’andamento nel tempo del suo valore. Se il medico, in base alla cinetica (le variazioni) del Psa sospetta un tumore, prescrive una biopsia della prostata, che viene eseguita ambulatorialmente, in anestesia locale.
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Ultimo aggiornamento: 25 maggio 2012