L’emofilia è una malattia rara di origine genetica che colpisce soprattutto i maschi. Alla base della malattia c’è la carenza o la mancanza di una proteina di coagulazione del sangue (nell’emofilia A del fattore VIII, nella B del fattore IX). Di conseguenza, un emofilico può andare incontro a episodi di sanguinamento prolungato, anche spontaneo, che possono generare dolore oltre che danni alle articolazioni.
In questo articolo
Come si trasmette?
I geni che codificano la sintesi dei fattori della coagulazione VIII e IX sono situati sul cromosoma X. Il cromosoma X con difetto della coagulazione viene identificato come Xe. Se una donna ha un cromosoma Xe, il cromosoma X non colpito compensa la produzione del fattore della coagulazione carente o mancante. Le donne, in pratica, sono portatrici sane: trasmettono la malattia ma difficilmente la manifestano. Avendo due cromosomi X, infatti, dovrebbero avere il gene anomalo su entrambi, ma questo è un evento raro. Gli uomini, invece, non possono beneficiare della compensazione e rappresentano quindi il maggior numero di persone colpite da questa malattia. Se in una famiglia sono presenti casi di emofilia, le donne possono sottoporsi all’analisi del Dna, che si effettua con un semplice prelievo di sangue, per stabilire se siano portatrici. È anche possibile effettuare la diagnosi prenatale nelle gravidanze a rischio.
Emofilia A ed emofilia B
Come si accennava poco fa, esistono due tipi di emofilia: A e B. La prima è la forma più comune, dovuta alla carenza del fattore VIII della coagulazione e si registra circa un caso ogni 10.000 maschi. La seconda, detta anche malattia di Christmas (dal nome della famiglia nella quale è stata identificata per la prima volta), è causata dalla carenza del fattore IX della coagulazione e l’incidenza è di un caso ogni 30.000 maschi. La gravità della patologia viene stabilita sulla base della percentuale di fattore coagulante presente nel sangue della persona. Si parla di emofilia grave quando la percentuale del fattore coagulante è inferiore all’1% del valore normale, di emofilia moderata quando la percentuale è compresa tra 1 e 5% e di emofilia lieve quando la percentuale è compresa tra 5 e 40%.
I numeri dell’emofilia in Italia
Stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità relativi al 2018, nel nostro Paese sono 4.109 i pazienti con emofilia A e 882 con emofilia B. In Europa sono oltre 32.000 le persone affette da emofilia A o B.
I sintomi dell’emofilia
Chi soffre di emofilia va incontro a sanguinamenti ricorrenti, anche interni e, nelle forme gravi, spontanei. I più frequenti sono i cosiddetti emartri: emorragie nelle cavità delle articolazioni, che col tempo possono portare a esiti fortemente invalidanti. I sanguinamenti causano dolore. Se si verificano nelle articolazioni, il sangue si versa nelle cavità articolari con conseguente rigonfiamento della parte interessata, che diventa calda e dolente. Nel caso in cui l’emorragia avvenga invece a livello muscolare, oltre al dolore fortissimo, può portare alla formazione di fibrosi. Se non trattata, l’emofilia danneggia le superfici articolari, porta a una malattia articolare infiammatoria degenerativa e a deformità degli arti, rendendo via via sempre più difficile la deambulazione. Conseguenze che possono essere prevenute attraverso una profilassi con i farmaci disponibili che suppliscono alla carenza del fattore di coagulazione.
Terapia sostitutiva e profilassi
Ancora oggi l’emofilia è una malattia cronica senza una cura definitiva. Nel 70% dei casi però può essere gestita con la terapia sostitutiva, che riesce a riequilibrare il sistema di coagulazione con la somministrazione per via endovenosa della proteina mancante. Nel giro di dodici ore, però, la proteina decade. Per questo la terapia ottimale è la profilassi. I modi per intervenire, infatti, sono due. A domanda quando si presenta il sintomo, quindi il sanguinamento, oppure preventivamente tre volte a settimana.
Con la profilassi, consigliata fin dai primi anni di vita, si mantengono i livelli della proteina mancante sufficientemente elevati. In questo modo si evita la gran parte delle emorragie, a meno che il paziente non abbia traumi gravi o incidenti che causano sanguinamenti. Il paziente può fare l’iniezione quando vuole, ma la cosa migliore sarebbe farla alla mattina. Dopo la puntura si verifica un picco della proteina nell’organismo, quindi meglio “sfruttare” questa situazione quando si ha davanti l’intera giornata e, di conseguenza, anche più possibilità di avere incidenti, piuttosto che “sprecarla” la sera prima di andare a letto, quando evidentemente c’è un minor rischio di tagliarsi e sanguinare.
La terapia genica
Per quanto riguarda le prospettive della ricerca, da qualche anno la comunità scientifica internazionale sta studiando e sperimentando la terapia genica, che potrebbe offrire una cura definitiva ai pazienti affetti da emofilia di tipo B. Sperimentata per ora solo su animali, questa terapia agisce alla base della malattia fornendo l’informazione genetica corretta alle cellule del paziente perché possano produrre un fattore della coagulazione funzionante.
Gestione della malattia
Quando si parla di emofilia, si parla anche di gestione della malattia da parte del paziente, che a un certo punto crescendo deve staccarsi dall’aiuto dei genitori e iniziare a farsi le iniezioni e a comprendere i sintomi autonomamente. Come un paziente diabetico impara a gestire l’insulina in base ai livelli di glicemia nel sangue, anche un ragazzo affetto da emofilia deve acquisire specifiche “abilità” per gestire la sua malattia? Imparare a farsi le iniezioni è fortemente consigliato anche perché in Italia ci sono solo 50 Centri emofilia. In Toscana, per esempio, ne esiste uno solo a Firenze: chi vive fuori non può pensare di andare tre volte a settimana nel centro per farsi fare le iniezioni.
Per quanto riguarda l’aspetto pratico, farsi un’iniezione endovenosa può mettere a disagio in alcune situazioni. Se però si rientra in quel 70% dei casi in cui l’aderenza alla terapia è buona la malattia non è così invalidante. Ci sono ragazzi emofilici gravi cresciuti a profilassi che non hanno sviluppato danni articolari e praticano qualsiasi sport, anche quelli più a rischio per quanto riguarda traumi fisici, come calcio, snowboard, judo o kick boxing.
Le emorragie
Gli emofilici sviluppano una particolare sensibilità che permette loro di capire quando sta per arrivare un’emorragia. È una sorta di “aura” in cui il paziente sa che ci sarà un versamento all’interno dell’articolazione, anche se questa non è ancora calda, gonfia, dolente e immobilizzata. I versamenti di sangue, infatti, si verificano soprattutto all’interno dell’articolazioni del ginocchio, del gomito, della caviglia e, meno frequentemente, in quelle della spalla, del polso e dell’anca.
I danni a lungo termine
Se l’aderenza alla terapia non è ottimale e soffre della forma grave, un paziente può avere sanguinamenti copiosi. Questi creano rapidamente fenomeni degenerativi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico. Quali sono i danni sul lungo periodo in questi casi? Si può sviluppare una forma di artrosi molto grave con una conseguente severa invalidità articolare.