In questo articolo
Quando il dito “scatta”
Alzando le tapparelle, maneggiando un cacciavite o afferrando una maniglia, è possibile che un dito qualsiasi rimanga improvvisamente “bloccato” in posizione piegata per poi distendersi con un brusco e doloroso guizzo. Si tratta della tenosinovite stenosante, meglio conosciuta come dito a scatto, una patologia che colpisce molto frequentemente uomini e donne a partire dai 40 anni circa. Sfogliate la gallery per scoprirne le cause, i sintomi e le cure.
Perché viene
«Alla base di questo disturbo c’è l’infiammazione della membrana sinoviale, cioè la guaina che riveste i tendini flessori delle dita: questa condizione comporta un aumento dello spessore dei tendini stessi e rende difficoltoso il loro scorrimento all’interno della canalina che li avvolge» spiega la chirurga Chiara Novelli, dell’unità operativa complessa di chirurgia della mano all’Irccs MultiMedica e Ospedale San Giuseppe di Milano. «A causa di questo strozzamento del tendine nella canalina, chiamata puleggia, il dito non riesce più a raddrizzarsi normalmente e, al momento dell’estensione, rimane piegato. Eseguendo un’estensione attiva forzata del dito affetto dalla patologia, questo si blocca, manifestando il noto scatto».
Fattori scatenanti
Le cause di questo disturbo non sono ancora del tutto chiare. Esistono, tuttavia, dei fattori scatenanti che favorirebbero l’insorgenza e il progredire dell’infiammazione. «Il dito a scatto è più comune nelle persone che, per lavoro, sport o passione, svolgono attività ripetitive con la mano, sovraccaricando i tendini coinvolti nel processo infiammatorio» chiarisce Novelli. «Il diabete, poi, è una patologia che comporta una certa vulnerabilità sulla componente tendinea, quindi chi è affetto da questa malattia è più predisposto ad avere la tenosinovite stenosante. Anche gli scompensi ormonali facilitano l’infiammazione dei tendini: ecco perché le donne in gravidanza e quelle in menopausa hanno più probabilità di avere questo disturbo rispetto ad altre».
Oltre allo “scatto”, ci sono altri sintomi
Oltre al classico scatto doloroso, il problema spesso si manifesta con gonfiore e dolore al palmo della mano, in prossimità del dito malato. Può capitare anche che questo non si distenda nemmeno aumentando la forza di movimento e non si riesca quindi a innescare lo scatto spontaneamente: in questi casi la patologia è già in fase avanzata ed è necessario aiutarsi con l’altra mano per risollevare il dito flesso. Questo accade perché molto spesso non si interviene immediatamente, correndo così il rischio che il dolore si cronicizzi e il problema peggiori nel tempo.
Curare il dito a scatto:
il trattamento conservativo
«Quando ci si attiva rapidamente, infatti, si può intraprendere un trattamento conservativo che prevede innanzitutto l’ausilio di ghiaccio, da applicare per brevi periodi nell’arco della giornata, sempre avvolto in una stoffa di cotone: questo è molto utile per ridurre l’infiammazione e alleviare il fastidio», consiglia Novelli. «Se il disturbo persiste, si può ricorrere ai tutori confezionati ad hoc da fisioterapisti specializzati: vengono indossati esclusivamente di notte, sono in grado di rilassare il tendine e spesso portano a completa guarigione. Talvolta ai tutori si abbinano anche dei cerotti antinfiammatori, da applicare direttamente sul dito che scatta. La terapia farmacologica orale, invece, è quasi sempre sconsigliata perché, rispetto al cerotto, è poco selettiva sulla zona da trattare».
Curare il dito a scatto:
il trattamento chirurgico
Se il trattamento conservativo non dà i risultati sperati o se il disturbo è diagnosticato in fase avanzata, si opta per l’intervento chirurgico, eseguito in anestesia locale e in regime di day surgery. «L’operazione, che in genere dura meno di una quindicina di minuti, permette di liberare la canalina che è di ostacolo al tendine, entrando dal palmo della mano. Grazie alla chirurgia il dito guarisce definitivamente e raramente possono presentarsi recidive» spiega la chirurga. Esiste anche la possibilità di intervenire con tecnica endoscopica che, rispetto a quella tradizionale, è ancor meno invasiva, riduce il processo di cicatrizzazione e il recupero è più rapido: l’indicazione a questo tipo di trattamento, però, viene data caso per caso, valutando il grado di infiammazione del tendine e la fase di patologia nella quale si interviene.
La fase post-operatoria
La fase post-operatoria, infine, è fondamentale. «Bisogna sottoporsi a una riabilitazione mirata a opera di terapisti specializzati e indossare un tutore notturno, diverso da quello utilizzato nel trattamento conservativo, che mantiene l’estensione completa del dito, prevenendo una possibile guarigione in lieve flessione del dito, che è la posizione spesso assunta nelle ultime fasi della malattia» conclude Novelli. «Nella maggior parte dei casi, i tempi di recupero delle attività manuali sono molto rapidi: si può rientrare alle proprie attività quotidiane già meno di una settimana dopo la chirurgia e alle attività lavorative circa 20 giorni dopo l’intervento.
Chiara Caretoni
TI POTREBBERO INTERESSARE ANCHE
Dito a martello? Ecco cosa devi fare