Il reflusso gastroesofageo di per sé è un disturbo fisiologico. A stomaco pieno, infatti, il materiale gastrico può risalire dallo stomaco all’esofago. La malattia insorge quando risale una quantità eccessiva di acido gastrico, che provoca lesioni alla mucosa esofagea, generando un’infiammazione (l’esofagite). Pier Alberto Testoni, professore ordinario di Gastroenterologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele e direttore dell’Unità operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva dell’Ospedale San Raffaele di Milano ci spiega le cause e i sintomi del reflusso gastroesofageo. Ma anche perché, oltre a rigurgiti e bruciore di stomaco, la patologia può avere conseguenze sulle vie aeree. Ad esempio scatenando la tipica tosse secca da reflusso.
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Il ruolo del cardias
Il reflusso è dovuto al mancato funzionamento del cardias, la valvola che separa l’esofago dallo stomaco, impedendo al cibo e ai succhi gastrici di fare il cammino inverso, o al rallentamento della motilità dello stomaco. Che, svuotandosi più lentamente, tende a distendersi verso l’alto a causa dell’aumento della pressione nell’area addominale.
Tosse secca e reflusso
Rigurgiti e bruciore di stomaco sono i sintomi tipici. Ma la contrazione dell’esofago può causare anche dolore restrosternale. In molti casi difficile da distinguere dal dolore di origine cardiaca. Inoltre l’infiammazione innescata dal ristagno del materiale gastrico in gola può colpire anche le vie aeree, con conseguente tosse secca, asma e voce roca.
Un’altra tipologia di tosse tipica di chi soffre di reflusso gastroesofageo è la tosse stizzosa del mattino, conseguente al riposo notturno quando, a causa della posizione orizzontale del corpo, i succhi gastrici risalgono più facilmente lungo l’apparato digerente.
I rischi se non si controlla il reflusso
Se la malattia non viene controllata, c’è il rischio che a lungo termine l’eccesso di acido dovuto al reflusso cronico modifichi la mucosa della porzione inferiore dell’esofago. Tale trasformazione, denominata esofago di Barrett, aumenta di circa il 25-28 per cento il rischio di carcinoma, perché la proliferazione cellulare abnorme nel tempo predispone allo sviluppo di neoplasie.
La diagnosi di reflusso gastroesofageo
L’esofago-gastro-duodenoscopia è l’esame che permette di identificare l’esofagite. In caso di assenza di esofagite il reflusso può essere documentato dalla pH-impedenzometria esofagea. Quando il reflusso diviene cronico è necessario sottoporre periodicamente i pazienti all’endoscopia del tratto gastrointestinale superiore: la gastroscopia.
Nel caso in cui il tessuto risulti anomalo (esofago di Barrett), ne vengono prelevati dei campioni e con la biopsia si possono identificare i diversi gradi della malattia e valutare l’eventuale rischio di evoluzione verso l’adenocarcinoma, un tumore dell’esofago.
La terapia
Con fastidi sporadici possono bastare i farmaci antiacidi. Ma in caso di esofagite si interviene con i cosiddetti inibitori di pompa protonica, che riducono l’acidità gastrica. A questa terapia possono essere aggiunti prodotti in grado di determinare una barriera meccanica al reflusso e farmaci che migliorano lo svuotamento gastrico. Q
uando il paziente non risponde adeguatamente ai farmaci, ne richiede un alto dosaggio (con rischio di effetti collaterali) o in caso di riscontro di displasia di basso grado si può ricorrere alla terapia chirurgica antireflusso, che oggi può essere effettuata anche per via endoscopica. Permette di ricostruire una nuova valvola. O all’esterno o all’interno dello stomaco.
Gli stili di vita che evitano il reflusso
Aiutano a evitare l’insorgenza del reflusso la messa al bando delle sigarette e al riduzione degli alcolici. Oltre alla moderazione nel consumo di cibi grassi, caffè, cioccolata, menta. Tutte sostanze che aumentano la pressione intragastrica o stimolano la produzione di acido o alterano la motilità gastroesofagea. È molto importante mantenere il peso sotto controllo e in particolare il girovita. In quanto i chili di troppo tendono a creare un aumento della pressione all’interno dello stomaco, con conseguente maggiore rischio d’infiammazione cronica dell’esofago.