È scesa la bandiera a scacchi sulla 500 miglia di Indianapolis, la storica corsa automobilistica che quest’anno ha sancito il trionfo del pilota giapponese Takuma Sato e la sconfitta di uno dei protagonisti più scomodi: il diabete giovanile di tipo 1.
Più controllo in pista
A “superarlo” in pista è stato il pilota 31enne della Honda Charlie Kimball, che, grazie all’aiuto dei ricercatori della Michigan State University, è stato in grado di controllare perfettamente i suoi parametri fisiologici arrivando a competere alla pari con gli altri piloti “normali”.
Tradito dal motore, non dalla glicemia
A tradirlo alla fine è non è stato un calo della glicemia, bensì un guasto meccanico al motore, proprio come è accaduto anche al campione del mondo Fernando Alonso. Un risultato deludente dal punto di vista sportivo, ma sicuramente incoraggiante da un punto di vista clinico.
La strategia adottata per aiutare Kimball a superare il diabete in gara potrà essere di grande aiuto per molti altri atleti professionisti colpiti dalla stessa malattia, come spiegheranno gli esperti della Michigan State University nei prossimi giorni al congresso annuale dell’American College of Sports Medicine (ACSM).
Il diabete al volante
Kimball è tra i soli quattro piloti professionisti al mondo che partecipano a gare di alto livello nonostante un pancreas messo KO dal diabete giovanile. Per loro le difficoltà da superare sono maggiori rispetto a quelle affrontate dai concorrenti.
«Il monitoraggio degli zuccheri nel sangue è soltanto una delle precauzioni più ovvie che le persone come Charlie devono prendere prima di scendere in pista», spiega il coordinatore dello studio David Ferguson, che ha seguito Kimball negli ultimi sei anni. «Se gli zuccheri nel sangue sono troppo bassi – precisa l’esperto – il pilota potrebbe diventare troppo lento nel prendere le decisioni. Se gli zuccheri sono troppo alti, i suoi tempi di reazione potrebbero essere buoni, ma aumenterebbe la probabilità di prendere la decisione sbagliata».
Una strategia personalizzata
Dopo aver studiato le fluttuazioni dei parametri fisiologici del pilota, Ferguson ha individuato i livelli di glucosio ottimali per la gara, riuscendo a prevedere anche le reazioni dell’organismo alle fortissime accelerazioni e decelerazioni. In questi casi, infatti, «il sangue può accumularsi nelle gambe rovinando le performance», ricorda l’esperto.
Un aiuto per tutti gli atleti diabetici
Riuscendo ad avere un controllo ottimale della glicemia e delle reazioni dell’organismo alle sollecitazioni meccaniche che si vivono nell’abitacolo, Kimball ha ottenuto performance paragonabili a quelle degli altri piloti. «Non avendo un pancreas funzionante, Charlie era tecnicamente svantaggiato rispetto agli altri: noi non abbiamo fatto altro che metterlo in condizioni di giocarsela alla pari», commenta Ferguson. «Sebbene il nostro studio sia focalizzato sulla gara automobilistica – continua l’esperto – l’idea del controllo ottimale della glicemia potrebbe estendersi a qualsiasi atleta diabetico, spianando la strada a tutti i diabetici che vogliono partecipare a competizioni sportive».
Elisa Buson
TI POTREBBERO INTERESSARE ANCHE
Diabete: 1.000.000 in più di malati in Italia in 15 anni
Diabete Tipo 1 e sport: cosa fare e cosa non fare
Diabete pediatrico: la tecnologia che migliora la qualità di vita