È una sensazione familiare. Vivere un momento del presente, come una conversazione, un saluto, un gesto o un incontro, come se fosse già accaduto in passato. L’evento “passato”, però, non lo ricordiamo con precisione e, soprattutto, non riusciamo a collocarlo in un contesto spazio-temporale esatto. Rimane indefinito.
Nel linguaggio comune chiamiamo questa esperienza déjà-vu. Ne abbiamo parlato con Federica Alemanno, neuropsicologa e docente presso la Scuola di Specializzazione in Neuropsicologia dell’Università Vita Salute San Raffaele.
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Definizione
«Quando si ha un déjà-vu, si ha l’impressione di vivere una situazione già vissuta. È una condizione tra il sogno e la realtà, in cui abbiamo l’impressione di conoscere già qualcosa, ma i confini e i contorni di questa impressione rimangono sfumati e indefiniti».
Più frequente tra i giovani
Tutti possono fare esperienza del déjà-vu? E ci sono periodi della vita o casi in cui ne possiamo avere di più? «In generale viene vissuto più spesso dalle persone giovani. Questo non perché il cervello gode di migliore salute, ma perché, come ci dice recente letteratura scientifica, può essere influenzato da uno stato di sonnolenza o deprivazione di sonno. Meno riposati, vuoi per la vita sociale, vuoi per lo studio intenso, sono proprio i giovani. Per quanto riguarda le variabili geografiche e sessuali, invece, non ci sono differenze nell’esperienza del déjà-vu: ad esempio, “colpisce” nello stesso modo uomini e donne di diverse nazionalità. Influisce però il livello socio-economico delle persone: quelle che studiano di più, hanno maggiore attività mentale e intellettuale, anche da adulti, sono più esposte ad avere déjà-vu, ma questo chiaramente si ricollega al fatto che questi individui possono vivere dei momenti di maggiore stanchezza cerebrale».
Il meccanismo del cervello
Cosa succede nel nostro cervello quando abbiamo un déjà-vu? «Il déjà-vu si verifica a livello di alcuni circuiti cerebrali, scoperti nello studio dell’epilessia. In particolare, si tratta dei circuiti della corteccia mesolimbica, nel lobo temporale, sede della memoria. Queste regioni sono solitamente connesse al ricordo e pare che, quando c’è stanchezza o ci sono particolari stimoli con valenza emotiva, non funzionino al meglio. In questi casi si scatena il meccanismo del déjà-vu, che dà un senso di familiarità a un episodio che però non è mai stato vissuto e che, per qualche strana ragione, emotiva per l’appunto, va a stimolare un ricordo diverso, ma emotivamente simile, che abbiamo vissuto in passato. I due episodi possono avere certamente caratteristiche in comune (anche minime) tali da scatenare la stessa emozione, ma in realtà sono totalmente diversi».
Non è una previsione
Si sente dire che il déjà-vu avviene quando il nostro cervello arriva leggermente prima del nostro occhio, dando luogo a una sorta di previsione. Quanto c’è di vero? «Questa è una considerazione che viene fatta più che altro relativamente alla coscienza e riferita al fatto che la “consapevolezza” di ciò che facciamo, diciamo, arriva al nostro cervello 300 ms circa dopo l’inizio dell’azione stessa. Basandoci su questo dato neurofisiologico, non possiamo quindi scientificamente ipotizzare che la consapevolezza di una situazione arrivi addirittura prima del momento in cui la viviamo».
Anomalia o normalità
È anomalo non avere déjà-vu, oppure averne troppi? «No, ma è tra l’altro raro che una persona non ne abbia esperienza, dato che quasi il 90% della popolazione ha vissuto déjà-vu almeno una volta nella vita. Ci sono però condizioni patologiche, come le crisi epilettiche, parziali-complesse, psicosensoriali, che si associano all’esperienza, concomitante, di déjà-vu, accompagnato in questi casi a confusione, torpore, disorientamento e difficoltà di parola. Queste situazioni particolari sono ben distinguibili dai déjà-vu “normali” ossia sensazioni sfumate dai contorni indefiniti, tra il sogno e la realtà, che possono accadere a tutti».
di Giulia Masoero Regis